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La fuga dei cervelli ci costa 14 miliardi, l'allarme lanciato dal ministro Tria 

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Maria Pezzi
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 Urla alla luna Giovanni Tria: «Stiamo disperdendo talenti ma anche risorse, basti pensare che la fuga di cervelli all' estero che sta conoscendo l' Italia ci fa perdere circa 14 miliardi all' anno poco meno dell' 1% del Pil». Un grido di dolore inconsueto, il suo. Quando si ritrova nel suo ambiente naturale - in questo caso un' assise alla Business School della Luiss - il ministro dell' Economia torna il premuroso docente che era; e schianta le catene della sottomissione al governo gialloverde; ed esprime, vivaddio, concetti sensatissimi. Tria afferma che l' Italia è in ritardo sull' innovazione, «il nuovo petrolio» che muove le economie del mondo; che occorre cambiare il modo di concepire le competenze professionali, perché il 65% dei bambini che iniziano la scuola primaria farà quasi sicuramente un lavoro che al momento ancora non esiste; che occorre, come dicono gli economisti, un cambio di paradigma. La condizione dei nostri giovani expat è preoccupante. Secondo il rapporto sull' occupazione AlmaLaurea su 640mila laureati quasi la metà, il 47%,2% afferma di essere disposta a trasferirsi all' estero. Anche perché i ragazzi non sono scemi, sanno che l' esperienza all' estero aumenta le chance occupazionali del 12, 7%. Ma non solo. Alla base del volontario esilio ci sono altri elementi non irrilevanti. Corruzione innervata nel tessuto lavorativo; burocrazia che se la batte con quella eurofantiaca di Bruxelles; pressione fiscale da Paesi scandinavi ma con un welfare da terzo mondo; tecnologia ed ecosostenibilità arretrate; la politica, col suo carico di raccomandazioni, che tutto invade a scapito del merito. Per non dire della disoccupazione giovanile, l' unico dato perennemente in salita dell' economia nonostante i piccoli cali dello spread e i piccoli scatti della produzione industriale. Tra l' altro, sono tutti elementi già annunciati in uno studio del World Economic Forum del 2017 dove si confermava che non siamo un Paese per giovani: l' 81% dei ragazzi intervistati tra i 18 e 35 anni - otto su dieci - se ne sarebbe andrebbe dal proprio Paese per cercare lavoro o fare carriera. Qui gli elettori sono prevalentemente anziani -diciamoci la verità- e nessun governo, compreso questo, si sforza di entrare in empatia con gli under 30. Da noi, il Paese dove la banda larga è in realtà strettissima, ora si sta discutendo su come tassare anche i robot che "ci rubano il lavoro", mentre otto di quei giovani intervistati su dieci, ritengono alla Elon Musk , o alla Jeff Bezos, che la buona tecnologia di posti di lavoro ne creerà senz' altro di nuovi. Tra l' altro c' è pure la conferma delle tendenza ad esportare cervelli e ad importare braccia, e neanche delle migliori. Mentre da un lato 171 giovani italiani - dati Ocse - emigrano più che dal Messico o dall' Afghanistan, dall' altro noi non rientriamo più nei sogni dei giovani omologi stranieri. I quali, dell' Italia, disertano perfino il mare, il sole, la pizza, la gnocca: il turbine del nostro turismo godereccio dagli anni '60. Ma il dato più preoccupante è che qui si tratta di giovani colti, dotati di notevoli titoli di studio e di ambizioni professionali. I cosiddetti "cervelli" appunto, persone senz' altro di talento professionale e di passione superiore alla media. Arrivano, invece, senza fare i classisti, i meno colti e quelli con competenze professionali molto basic. In Italia, come ben descrivono nei loro libri Alberto Forchielli e Francesco Cancellato urge fare. Cosa? Spingere sull' acceleratore degli incentivi fiscali (dal 64% al 93% del taglio Irpef) per favorire il rientro dei "cervelli" in Italia, come dovrebbe fare il decreto crescita, appena approvato in Parlamento. Oppure creare reti di aziende che investano in digitale e in tecnologia -una di queste è Talents in motion- che tendano una mano ai cervelli dal sen fuggiti. Siamo in attesa della solita rivoluzione. Nel frattempo, io manderò i miei figli all' estero. Si sa mai. di Francesco Specchia

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