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Scudo fiscale, ecco perché

è giusto ed equo

Albina Perri
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Assieme al Dpef, cioè il documento economico-finanziario per il 2010-2012, sono arrivati anche due provvedimenti a effetto immediato. Ovvero lo scudo fiscale del 5% e l'aumento di 5 anni dell'età di pensionamento delle donne del pubblico impiego, con uno scaglionamento di un anno in più di servizio ogni biennio dal 2010 al 2019.Due misure che Libero sostiene da tempo e su cui la sinistra storce il naso, senza serio argomenti. Il 5% di imposta secca, per poter rimpatriare i capitali occultati all'estero in banche-rifugio, dice il solito Di Pietro, è troppo poco Ci voleva una cifra maggiore. Guarda un po'. L'altro ieri Di Pietro e il Pd non volevano lo scudo. Ora, di fronte al fatto che esso è accolto con favore, fanno retromarcia e dicono che il 5 % è poco. In effetti ci potevano essere aliquote maggiori. Ma la percentuale di 5 è stata misurata sul risultato che si può ottenere. E lo scudo fiscale italiano è in concorrenza con quello degli altri stati dell'Unione europea. Per le imprese e le persone con attività multinazionali, i capitali occultati all'estero potrebbero venire rimpatriati in stati diversi dal nostro. E il vero onere per il contribuente e il vero guadagno del fisco non stanno in questo 5% una tantum. Quanto piuttosto nelle imposte che d'ora in poi questi soggetti dovranno pagare, sui capitali rimpatriati e sui loro redditi. Ora, con la regolarizzazione che viene attuata tramite lo scudo fiscale, questi patrimoni entrano nei bilanci delle imprese e nelle disponibilità che le persone fisiche possiedono ufficialmente. Ciò accresce le garanzie che essi possono dare per il credito bancario e rafforza il finanziamento della nostra economia. Quindi questa è una misura anti crisi che ben si collega alla impostazione del Dpef, che indica politiche di rilancio della nostra economia, basato sull'investimento, privato e pubblico. E anche l'aumento dell'età di pensionamento per le donne, per ora limitata al pubblico impiego, contenuta in un emendamento del decreto anti crisi si collega a questa politica del Dpef. Infatti il rilancio delle infrastrutture e la maggiore spesa per il capitale umano che il Dpef prevede comportano spese pubbliche. Bisogna, dunque, fare dei risparmi altrove. Il decreto anti crisi già contiene un risparmio immediato con una stretta sulle inefficienze della sanità pubblica. E a ciò si aggiunge questo risparmio nelle pensioni. Questo però è solo un segnale. Il grosso del risparmio può venire solo dall'aumento dell'età di pensione delle donne del settore privato. E qui ci saranno molte levate di scudi. Frattanto Brelusconi e Tremonti fanno presente che, secondo i calcoli del Dpef, il governo ha destinato 27 miliardi , per misure anti crisi per il periodo 2008-2011. Al netto di quelle per la ricapitalizzazione delle banche (i Tremonti bond, di cui poche banche hanno però approfittato) e dei pagamenti di debiti arretrati della pubblica amministrazione alle imprese. I 27 miliardi sono per tre quarti costituiti da misure sociali: bonus alle famiglie povere e finanziamenti aggiuntivi di cassa integrazione e di disoccupazione. A ciò si aggiungono gli ecoincentivi per le auto e lo sgravio per gli utili reinvestiti dalle imprese in macchinari e attrezzature, contenuto nel decreto anti crisi. Si è trattato di 3 miliardi nel 2008, anno in cui la crisi era solo iniziata, di 11 nel 2009, di 8 nel 2010 e di 6 nel 2011. Tremonti ha spiegato che il governo Prodi, con le nuove tasse inventate da Visco, accumulava tesoretti da devolvere a fini social clientelari, mentre riduceva il debito pubblico, non pagando i creditori della pubblica amministrazione. Si è accumulato un arretrato che ora viene smaltito dal governo Berlusconi. Non pagare i debiti, mentre si spende per altri scopi il tesoretto così artificialmente accumulato, è un comportamento immorale, anche perchè se danneggia imprese, che così rischiano di chiudere. Ma a questi moralisti ciò non importa. Non fanno mai ammenda dei propri sbagli. di Francesco Forte

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