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Coronavirus, il decreto liquidità è scritto male: senza scudo penale le banche non scuciono i soldi

Giovanni Sabatini presidente Abi, associazione bancaria italiana

Francesco Specchia
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Quando si parla di “scudo penale” e di prestiti, di solito, il contribuente medio mette mano al revolver.

Tanto più in questi cupi tempi di pandemia. In cui gli imprenditori piccoli e medi che richiedono il prestito di 25mila euro completamente garantito dallo Stato, si ritrovano infilati in un inferno burocratico fatto di Durc, Durf, verbali di approvazione, ricevute di depositi, autocertificazioni, bilanci provvisori dell’anno precedente. Trattasi d’un florilegio di una ventina di documenti in grado di fiaccare un bisonte, e di produrre una dilatazione romanzesca quasi alla Proust dei tempi di esborso. In realtà, c’è un motivo perché le banche con le loro circolari interne, spingano i loro funzionari e direttori di filiale a far melina, a traccheggiare più del solito nell’erogare il grano a dispetto della “velocizzazione” espressamente richiesta dal governo e dall’ Abi, l'associazione bancaria italiana. In realtà, le banche stanno evocando, ufficiosamente, appunto, il mitico scudo penale. Il decreto Liquidità varato l’8 aprile scorso per dare ossigeno alle Pmi (ma anche per sostenere le aziende più strutturare con fondi fino a 800mila euro, e là la garanzia dello Stato non è totale) nelle sue pieghe presenta lacune che possono sfociare nel reato. “Le misure eccezionali dispiegate con con i DL 17 (“Cura Italia”) e 23 (“Decreto Liquidità”), per dare liquidità alle imprese mediante l’intermediazione delle banche non sono privi di insidie. Non si sono, forse, tenuti in debito conto i rischi penali – oltre che civili – cui la banca e gli organi dell’impresa possono esporsi” spiega Ivo Allegro già docente di Economia aziendale, partner di Iniziativa società di consulenza e specialista di finanza pubblica con attenzione alla spending review “in caso di successivo fallimento dell’azienda, con le regole attuali, la “spada di Damocle” è rappresentata dalla revocatoria fallimentare, nonché dalle varie fattispecie penali-fallimentari di bancarotta, non essendo infrequenti, anche in buonafede, i casi di coinvolgimento a titolo di concorso degli istituti di credito nei reati fallimentari dell’imprenditore: in particolare, nei reati di bancarotta fraudolenta preferenziale, di bancarotta semplice per “operazioni di grave imprudenza” o per “ritardata richiesta di fallimento”. A ciò si aggiunga “la possibilità per la banca di essere “vittima” di ipotesi di ricorso abusivo al credito oppure, viceversa, di concessione abusiva del credito”, dice sempre Allegro citando l’art. 217, n. 4, della legge fallimentare che nel Dl Liquidità, di fatto, non viene derogata. Cioè, il suddetto decreto, fatto assai in fretta (come spesso accade a questo governo) non abroga le norme preesistenti e non esenta le banche dalle solite responsabilità risvolti penali compresi.

Il che sottende un’altra questione già sollevata dal Procuratore Generale Antimafia Federico Cafiero De Raho – e prima ancora dai procuratori Greco e Melillo- : non è possibile controllare che alcuni mutui possano essere concessi ad aziende in odore di criminalità organizzata. Anche in questo caso, quindi, le banche rischiano di rispondere tanto in proprio, quanto in concorso con gli amministratori e gli imprenditori stessi. Evidente quindi, secondo il direttore generale dell’Abi Giovanni Sabatini, “la necessità di un intervento legislativo per la messa in sicurezza del sistema”. Ossia lo scudo penale. Si tenga conto di altri problemi inerenti al prestito. Come il fatto che la disponibilità dei fondi è insufficiente (10, 7 miliardi, ne hanno promessi 300 con l’effetto-leva , ma per ora non v’è traccia); o che dalla platea dei beneficiari dei prestiti sono escluse tutte le aziende che hanno finanziamenti in default a febbraio 2020, già quelle che ne avrebbero più bisogno, le più fragili; o che potrebbe essere in teoria possibile per gli imprenditori chiedere allo Stato un indennizzo per le difficoltà “cagionate dai legittimi interventi normativi del Governo, dato che la garanzia dello Stato non è un indennizzo” (secondo il penalista Fabio Schembri su Fronte del blog). Insomma, la situazione finora è grave ma non è seria. Qualcuno ci rimetta mano, please.

 

 

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