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Spesa e bollette crescono, gli italiani si impoveriscono mentre la politica litiga sottobanco sulla legge elettorale. Vergogna! L'analisi di Andrea Pasini

Andrea Pasini
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I prezzi delle materie prime le cosiddette commodities continuano a crescere. Un trend iniziato negli ultimi mesi del 2020 che nei primi mesi del nuovo anno sta toccando nuovi record. Il gas naturale in Europa segna il maggior rincaro con un +723% facendo lievitare i costi energetici delle imprese industriali: 37 miliardi previsti per il 2022 contro gli 8 del 2019. Il prezzo dell’energia elettrica è infatti mediamente quadruplicato rispetto a inizio anno (+411%) con punte anche maggiori. 

Un livello insostenibile per le imprese italiane, che minaccia chiusure di molte aziende in assenza di interventi efficaci e urgenti. Tra i settori su cui pesa di più l’aumento dell’energia troviamo: la lavorazione di minerali non metalliferi (ovvero cemento, ceramica, etc., con un costo energetico pari all’8% dei costi totali di produzione), la metallurgia (11%), la chimica (14%), la lavorazione della carta e del legno (5%), la gomma-plastica (5%). 

Per far capire, senza tanti giri di parole, cosa è successo negli ultimi mesi, a dicembre il prezzo dell’energia elettrica ha raggiunto la media mensile più elevata da quando la borsa italiana è stata costituita superando 280 €/MWh con un +450% rispetto al valore di gennaio 2021. Ulteriore fattore di complicazione è la volatilità degli scenari di prezzo per l’anno 2022, che cambiano molto rapidamente. Le curve dei prezzi a termine di elettricità e gas sono state soggette nelle ultime 4 settimane a molte variazioni.

Le previsioni ad oggi, in un contesto mondiale di forti rialzi e tensioni geopolitiche, sono che i prezzi delle commodity (metalli, tessili, alimentari) possano mantenersi su questi livelli almeno fino ad aprile 2022 e per il gas e l’energia ritornare a livelli normali dopo il 2023. Per il petrolio è in atto un riequilibrio, un decumulo di scorte dopo l’enorme accumulo della primavera 2020. In altri termini, non c’è una vera scarsità di offerta, che è stata contenuta dai produttori, Opec in testa, per favorire il riequilibrio del mercato.

Per quanto riguarda il rame, c’è stata davvero scarsità: la domanda mondiale nel 2020 era molto sopra la produzione, che era stata limitata da eventi legati al lockdown. Un recupero dell’offerta si sta materializzando nel 2021, ma non è ancora pieno e, soprattutto, non basta affatto a ricostituire un livello normale di scorte. Il mercato mondiale del cotone è vicino a una condizione di scarsità, almeno nel 2021: la domanda è tornata ai livelli pre-crisi, dopo il crollo subito con la recessione del 2020, mentre la produzione sembra frenare quest’anno. Per il grano, invece, non c’è scarsità: la produzione è cresciuta, nonostante i rischi legati al clima, ed è rimasta sopra la domanda, pure in aumento. Dunque, il mercato fisico mondiale non giustifica i rincari del grano, che pure si sono avuti tra 2020 e 2021.

Se i prezzi di alcune commodity, come le alimentari, hanno per lo più seguito il recupero del petrolio dai minimi del 2020, via speculazione finanziaria comune, e se è vero che il greggio è atteso in flessione nel 2022 (ma secondo la World Bank solo nel 2023 tornerebbe a livelli “di equilibrio”, cioè 65 dollari) allora questi rincari potrebbero essere temporanei. È il caso del grano, che infatti non ha più un trend di rincaro. In altri mercati, quelli dei metalli e, in parte, anche delle fibre tessili, i prezzi potrebbero invece restare molto alti, anche nel 2022, mostrando solo parziali correzioni. Questo perché gli enormi rincari sono stati causati da una effettiva scarsità di offerta mondiale e, dunque, occorre tempo per nuovi investimenti e per riorganizzare le filiere produttive. È il caso del rame e del cotone.

Mentre si attente che la situazione si ristabilizzi, sulle aziende incombe la stangata delle bollette, pari al +61% per il gas e il +48% per la luce. «Numeri che descrivono una situazione sempre più emergenziale, su tutto il territorio nazionale, insostenibile per qualsiasi realtà produttiva senza un piano di politica industriale ben strutturato e un pacchetto di misure organiche contro il caro-energia, che metta al centro questo tema come prioritario per la sopravvivenza delle aziende, l’occupazione, lo sviluppo del nostro territorio e del Paese. Oltre a una transizione non velleitaria ma economicamente e socialmente sostenibile».

I 3,8 miliardi stanziati finora per fronteggiare l’emergenza non sono sufficienti. Va adottata una politica industriale diversa e strutturale per ridurre l’esposizione dell’Italia a questi tsunami e la dipendenza dall’import. È indispensabile mettere in campo misure straordinarie per affrontare l’emergenza come, ad esempio, lo sfruttamento dei giacimenti nazionali di gas, aumentandone i prelievi in tempi rapidi e rilasciando il gas al sistema industriale a prezzi calmierati. 

Sarebbe altresì utile introdurre agevolazioni fiscali importanti sugli oneri di sistema, come accade in Germania e Francia, e l’aumento della remunerazione del servizio di interrompibilità del settore elettrico e del gas. 

Tutto questo a fronte di un’azione compatta in Europa, che preveda l’eliminazione delle barriere tariffarie che ostacolano la creazione del mercato unico, il raffreddamento dei prezzi delle emissioni di Co2, la creazione di stoccaggi integrati europei come proposto dal premier Mario Draghi e infine la costruzione di centrali nucleari di ultima generazione.

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