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Superbonus, caos in Posta e voci-choc: "Chi sta speculando"

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Sandro Iacometti
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Fughe in avanti, passi indietro, modifiche, contorsioni normative, sgambetti e strade spianate. A due anni dalla sua introduzione, con l'obiettivo di dare una scossa all'economia annichilita dalla pandemia e, allo stesso tempo, riqualificare sotto il profilo energetico e antisismico il patrimonio edilizio italiano, il superbonus continua a produrre scorie sul suo cammino. E a scatenare polemiche. A far infuriare i costruttori, ieri, è stata la comunicazione di Poste Italiane, che ha annunciato sul suo sito di aver sospeso il servizio di acquisto di crediti per l'apertura di nuove pratiche. In realtà, la società che si occupa di pacchi e spedizioni non è che la punta dell'iceberg. I cambi continui delle norme e gli annunci arrivati in questi giorni dal governo di ulteriori modifiche, in senso restrittivo, della maxi agevolazione fiscale, provocano incertezze che spingono gli operatori alla massima cautela, per evitare di restare in mezzo al guado. A questo si aggiunge anche l'esaurimento della capienza fiscale che alcuni istituti, dopo due anni di crediti d'imposta incamerati, si sta rapidamente esaurendo. Basti pensare che il totale delle detrazioni previste a fine lavori al 31 ottobre, secondo i dati diffusi qualche giorno fa dall'Enea, ha raggiunto quota 60 miliardi.

 

 

 

DIFFICOLTÀ GENERALI

Insomma, le difficoltà sono generali e riguardano anche altre partecipate pubbliche e gran parte del sistema bancario. Un altro caso è quello di Intesa Sanpaolo, concentrata a smaltire le richieste pregresse che ammontano alla bellezza di 20 miliardi. Man mano che saranno evase, l'istituto potrà riprendere a soddisfare nuove richieste, ha fatto sapere la banca, che proprio per riavviare il mercato delle cessioni sta coinvolgendo direttamente le imprese per ampliare la propria capacità fiscale (Intesa ha già siglato due accordi con Autotorino per un valore fiscale pari a 200 milioni di euro e con Sideralba per altri 175 milioni).

Si tratta, in tutti i casi, di notizie poco rassicuranti per le imprese edili, che in molti casi hanno fatto investimenti e anticipi di liquidità che ora rischiano di restare sul groppone. Quello che in sostanza chiedono i costruttori è il buon esempio delle aziende controllate dallo Stato. «È in corso una speculazione pazzesca», tuona la presidente dell'Ance, Federica Brancaccio, «Stiamo chiedendo da tempo lo sblocco di Cdp e Poste e di tutte le partecipate pubbliche, per dare un segnale di fiducia e per rimettere in moto il mercato». Secondo l'associazione del comparto edile il problema, oltre al fatto che molti stanno chiudendo i rubinetti, è che chi ancora acquista lo sta facendo a percentali bassissime, sfruttando «la disperazione delle imprese». Se prima il credito al 110% «veniva acquistato in media al 102%, ora si arriva anche all'85%. Chi compra specula. Serve un segnale, senza si fanno saltare migliaia di imprese». La situazione sembra particolarmente complessa per le piccole aziende, che con la Cna chiedono di convocare urgentemente un tavolo per trovare una soluzione. Una verifica è chiesta anche da Confedilizia, che propone un approfondimento prima di nuove ennesime modifiche.

 

 

 

PROBLEMA ANTICO

Il problema, purtroppo, viene da lontano. Il meccanismo della cessione dei crediti ha provocato un'esplosione di frodi, costringendo il governo Draghi ad intervenire con una stretta che, però, più che fermare le truffe ha avuto l'effetto di bloccare le erogazioni regolari. Il successivo intervento- via decreto prima e chiarimenti dell'Agenzia delle Entrate poi volto a rimettere in moto il mercato sembra non essere stato risolutivo. «La circolare delle Entrate che ha ammorbidito le norme, purtroppo ha sbloccato ben poco», sottolinea ancora Brancaccio. In più, alcune recenti sentenze della Cassazione hanno disposto il sequestro dei bonus ceduti ritenendo le fatture in acconto dei lavori operazioni inesistenti.

Un ginepraio che toccherà al nuovo governo cercare di sciogliere. La sottosegretaria al Mef, Lucia Albano, assicura che a breve arriverà una proposta per «semplificare e razionalizzare» la misura. Una delle opzioni potrebbe essere quella suggerita da Federico Freni, sottosegretario all'Economia anche nel governo Draghi: allungare da 5 a 7 anni il periodo per scontare il credito. In alternativa, senza allungare la durata, si potrebbero applicare dei coefficienti di compensazione che consentano al settore bancario di ricominciare a comprare. 

 

 

 

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