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Cina, un azzardo pensare che vengano a produrre in Italia

Bruno Villois
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Il capitolo Cina è tornato centrale per le economie occidentali, con gli Usa che trattano il caso Tik Tok alla stregua di una forma di spionaggio, l’Europa che applica dazi dimezzati a quelli cinesi nell’interscambio e il tema inquinamento, di cui si ritiene massimo responsabile l’automotive. trasporto persone e merci, per il quale si fa l’occhiolino al Paese di Mao, perché venga a produrre o almeno assemblare le proprie autovetture a motorizzazione elettrica. Un gran guazzabuglio di contraddizioni che fanno aumentare la confusione e possono ingenerare una somma di problemi.

Difficile stabilire cosa possa complicare maggiormente il già complesso scenario che l’economia cinese ha alimentato nel mondo, tra il possedere il 20% del debito pubblico americano, aver acquisto parte importanti dei territori africani, insediando proprie produzioni ed estraendo materie prime essenziali per le produzioni più innovative, essere forse il maggior inquinatore seriale del globo, agire per demolire prima il dollaro e poi l’euro, aver provato a sottomettere l’Europa, con la Via della Seta.

Bene però anche evidenziare quanto l’economia cinese, negli ultimi 4-5 lustri, abbia fatto-ottenuto dall’Europa, in termini di bilancia commerciale e, prima del Covid, anche in flussi turistici che soprattutto per noi e i francesi rappresentavano e rappresenteranno se si rimetteranno in moto un bacino d’oro. Ed è bene ricordare che le previsioni ante Covid al 2026 perdevano per Italia e Francia 100 milioni di nuovi turisti spalmati in ogni periodo dell’anno, un valore aggiunto che avrebbe potuto aumentare di almeno un terzo il giro di affari del turismo.

Purtroppo la nostra produzione di auto è in crisi di identità, ormai basata sulla componentistica di medio-basso valore aggiunto. Sono comunque ancora oltre mezzo milione gli occupati del comparto e l’incidenza sul Pil supera il 9%. Oggi c’è bisogno di una forte dose di ricostituenti, visto che l’ex Fiat, oggiassorbita in Stellantis, produce auto e utilizza la filiera della componentistica in Italia con il contagocce, pagando pochino i fornitori.

Trovare il ricostituente negli insediamenti produttivi di auto cinesi e un azzardo per almeno tre aspetti: azzeramento dei dazi, che viceversa pagano le merci italiane esportate in Cina; rischio filiera, essendo la loro meno costosa della nostra, più moderna ed efficiente e maggiormente produttiva; ricadute sull’occupazione in Italia molto limitata. Diverso sarebbe se si trovasse un accordo societario a capitale misto, ma a maggioranza italiana, che preveda un insediamento tecnologico cinese, una forza lavoro italiana basato su una strategia industriale concepita per esportare auto in ogni dove. Il capitale societario dovrebbe essere sottoscritto da investitori italiani, tra i quali potrebbe esserci Cassa Depositi e Prestiti, con una quota di minoranza, ma con azioni privilegiate che vincolino ogni attività produttiva in Italia e utilizzi esclusivamente la filiera nostrana. Il primo problema sarebbe trovare gli investitori a capitale italiano, i quali per rafforzare il valore dell’operazione meglio sarebbe se provenissero dall’industria dell’automotive.

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