Spread, inflazione, occupazione. Il Centro studi Unimpresa mette in “colonna” l’andamento dei principali indici economici di questi 1.000 giorni del governo Meloni. Se, come sintetizzato dal presidente del Consiglio Giorgia Meloni, guidare un Paese è un po’ «come lanciarsi ogni giorno con il paracadute», a tirare le somme ci pensa l’associazione imprenditoriale guidata da Paolo Longobardi.
Secondo l’analisi- sviluppata in dieci punti- il «quadro macroeconomico italiano presenta segnali di miglioramento». A cominciare proprio dall’andamento del differenziale tra Btp italiani e Bund tedeschi. Un indice della fiducia dei mercati che influisce in maniera determinante sull’ammontare degli interessi che il Tesoro deve mettere in conto e sborsare per rimborsare il debito pubblico. Aspetto non indifferente considerando che l’Italia, dopo il Giappone, è il Paese al mondo con il maggior indebitamento. A maggio (ultimo dato disponibile al fissato al 15 luglio), l’ammontare viaggiava a 3.053,5. Il rapporto debito/Pil resta stabile al 134,6%. Certo una enormità. Ma pur sempre in discesa di altri 10 miliardi rispetto all’andamento di aprile. E l’effetto indotto dalla discesa dello spread che si avverte nei conti statali per quanto riguarda il costo del servizio sul debito (gli interessi). Lo spread italiano è sceso a sotto i 90 punti base, contro gli oltre 250 punti del 2022. Il rendimento del decennale italiano si è attestato al 3,61%. E la stabilità politica degli ultimi 30 mesi ha rappresentato sicuramente una capacità di attrarre investitori. E infatti - secondo l’ultima analisi della Banca d’Italia sul debito (diffusa a giugno 2025) - la quota di debito pubblico in mano a sottoscrittori stranieri «è salita dal 31,9 al 32,4% del totale».
Altro fattore determinante per l’economia italiana è l’assestamento della disoccupazione (-6,5% a maggio 2025), che a fine 2024 ha toccato complessivamente «un minimo del 6,2%, con 85mila nuovi occupati nel solo trimestre novembre-gennaio. L’inflazione, dopo il picco preoccupante raggiunto nel 2022 (8%), è tornata fortunatamente sotto controllo e a giugno 2025 si attesta a 1,7%, «in linea con l’obiettivo del 2% della Bce».
Timidi segnali di ripresa anche dai consumi delle famiglie (+0,2% nel primo trimestre di quest’anno), dopo annidi stagnazione dovuta al caro-prezzi. Ma c’è da guardare ai prossimi anni che non saranno certo semplici da affrontare. La situazione congiunturale globale risente di diversi fattori di instabilità: dazi, conflitti, approvvigionamento di materie prime “preziose”. Senza dimenticare gli oltre 50 conflitti che scuotono il mondo: dall’Ucraina al Medioriente, dall’Africa ai “venti di tempesta” che scuotono l’Asia (come dimenticare il sogno di Pechino di arrivare alla “riunificazione” con Taiwan). Non potendo tralasciare le conseguenze per l’Europa continentale di avere un gigante russo tanto determinato da portare avanti da quasi 3 anni (24 febbraio 2022) l’Operazione Speciale contro Kiev. «Ora la sfida più importante», taglia corto il presidente dell’associazione di categoria, «per il governo, per le imprese e per le parti sociali è trasformare questi progressi in risultati duraturi». In effetti c’è da mettere mano ai rinnovi contrattuali. Quasi 5,9 milioni di lavoratori attendono da anni aumenti congelati ben prima della pandemia. Anche questa iniezione di maggiore liquidità porterebbe in dote un importante contributo «e una maggiore competitività al nostro sistema produttivo». Si spera. © RIPRODUZIONE RISERVATA.