Il mercato dell'auto sull'orlo di una crisi di sovrapproduzione

Roberto Amaglio

Se la crisi economica del 2008 aveva come principali cause la speculazione, i titoli tossici e le bolle finanziarie, la Grande Depressione del febbraio del ’29 era stata causata da una crisi di sovrapproduzione che aveva portato il mondo economico a un ripensamento totale dei criteri di produzione. Per quanto riguarda il settore dell’automobile, la soluzione era stata individuata nel passaggio dal Taylorismo al Toyotismo, ossia un sistema di lavoro basato sul “Just in time” volto a produrre solo ciò che viene richiesto dal mercato. A distanza di sessant’anni da quello storico passaggio economico, tuttavia, da John Fleming, presidente e Ceo di Ford, arriva un allarme che sa di passato: l'industria europea dell'automobile evidenzia una sovraccapacità produttiva del 35%. In pratica una vettura su tre è di troppo. “Una simile situazione industriale - spiega il top executive dell'Ovale blu – è insostenibile: i mercati sono saturi, il sostegno artificiale con incentivi pseudo eco è un palliativo pro tempore che non fa che affossare la salute delle imprese”. Infatti, secondo Fleming, alcuni costruttori stanno lottando al limite delle loro forze per cercare di mantenere i cash flow a livello accettabile e i livelli di produzione. In tal senso, il ricorso agli sconti eccessivi può essere una tattica nel breve termine per svuotare i magazzini, ma nel lungo, porta a dissesti irreversibili poiché svena finanziariamente le Case. Soluzione – Per John Fleming c'è una sola cura: ridurre in modo significativo la capacità produttiva. “Molti costruttori hanno già iniziato, altri dovranno seguirne l'esempio. Solo in questo modo l'industria europea delle quattro ruote potrà riguadagnare competitività anche in vista delle sfide globali che sarà chiamata ad affrontare nel brevissimo termine”. Uno dei problemi, però, è difficilmente superabile e risponde al nome di protezionismo. In tal senso emblematico è il caso delle auto coreane. Libere di operare sul mercato europeo (sfruttando anche alcuni impianti produttivi nel territorio dell'Unione), chiudono però a doppia mandata il loro mercato interno, proibendo di fatto la commercializzazione delle auto made in Europe.