L'editoriale

Sembra impossibile, ma con Bersani sarà peggio di Monti

Andrea Tempestini

Pierluigi Bersani non ha vinto le primarie del Partito democratico, ha vinto il governo dell’Italia; e se qualcuno avesse dubbi, potrebbe dare un’occhiata agli ultimi sondaggi, commissionati subito dopo la sconfitta di Renzi. Quello reso noto ieri sera da Enrico Mentana su La 7 dà, ad esempio, il Pd al 34,5 per cento, più di quanto abbia mai raggiunto il Pci dei tempi d’oro, quando a guidarlo era Enrico Berlinguer. Se si votasse domani, con una simile percentuale la sinistra non avrebbe perciò alcuna difficoltà a conquistare l’intero banco. Il 6 per cento di Vendola, sommato al 34,5, porterebbe il cartello progressista oltre quota 40 e neppure una legge elettorale ad personam potrebbe fermare la marcia di Bersani su Palazzo Chigi. Per la prima volta nella storia di questo Paese potremmo dunque avere un post comunista alla guida di un governo regolarmente eletto, perché, come è noto, Massimo D’Alema divenne premier dopo un Prodicidio (il primo della fortunata carriera di Mortadella) e grazie al tradimento di un gruppo di parlamentari eletti con il centrodestra, non certo perché fosse stato votato dagli italiani. Nel caso di Culatello Bersani (copyright di Dagospia) c’è invece il concreto rischio che sia la maggioranza degli elettori a scegliere il nodo scorsoio in cui infilare il collo dell’Italia. Non c’è una congiura di Palazzo a portare il segretario del Pd verso la stanza dei bottoni e neppure il voltafaccia di qualche camicia nera, come  avvenne nel dicembre di tredici anni fa.  Alla base del successo della sinistra  c’è la rotta del centrodestra, il cui campo, da quando  Silvio Berlusconi ha dato le dimissioni da presidente del Consiglio, non è riuscito a riorganizzarsi e va veloce verso una sconfitta epocale. Divisi su tutto e indecisi a tutto, i vertici del Pdl hanno allontanato gli italiani, i quali restano comunque moderati, ma anche alquanto schifati, e di recarsi alle urne nella prossima primavera non sembrano avere alcuna intenzione. Secondo i sondaggisti il 50 per cento degli aventi diritto al voto non vuole esercitarlo, preferendo disertare i seggi. L’altro 50 per cento si divide più o meno in un 40 per cento decisamente di sinistra, un 16 grillino e un 15 pidiellino, più varie minutaglie. Insomma, con meno della metà della metà degli italiani, Bersani potrebbe ritrovarsi alla guida del Paese, perché gli altri glielo hanno permesso astenendosi. Certo, bisogna riconoscere che a questo bel risultato si arriva dopo anni di errori e che se l’Italia avrà il suo primo premier post comunista legittimamente in carica è perché nel centrodestra hanno fatto carte false pur di perdere, non disdegnando di arruolare tipi come Fiorito e passando il tempo a litigare invece che governare. Ma tralasciando tutte le buone ragioni per cui un elettore intende rimanere a casa o far una gita piuttosto che mettere la propria scheda nell’urna, credo sia il caso di riflettere su quanto accadrebbe a questo Paese se davvero vincesse la sinistra. Non abbiamo intenzione di gridare al lupo comunista, come già troppe volte si è fatto, abusandone. Più semplicemente ci preme di illustrare ai lettori quali potrebbero essere i ministri del futuro esecutivo a guida rossa. Perché dietro il volto da zio rassicurante di Pierluigi Bersani ci sono i suoi parenti, che non sono i familiari di Bettola, paese in cui è nato il segretario, ma i compagni di viaggio del leader Pd. Se lui diventasse presidente del Consiglio, vincendo le elezioni, il suo principale alleato sarebbe il governatore della Puglia Vendola, il quale ambisce a conquistare il ministero del Lavoro. Ve lo immaginate Nichi al posto della Fornero? Le lacrime non le verserebbe lui, come fece la signora ministro, ma le farebbe versare agli imprenditori, modificando l’articolo 18 in modo che gli operai possano licenziare i datori di lavoro. Nell’attesa, ha esordito da ministro in pectore dicendo che l’Alta velocità non s’ha da fare: solo il primo di una lunga serie di niet che ci allontaneranno dalla modernità. Con il leader di Sel, Bersani si porterebbe dietro tutti i numeri uno della nomenclatura comunista, quelli che avrebbero dovuto far finta di rottamarsi per togliere un argomento al sindaco di Firenze. Da D’Alema (Esteri) a Veltroni (Beni culturali), dalla Finocchiaro (Giustizia) alla Bindi (Rapporti con il Parlamento), per finire con Fassina, non Fassino, all’Economia. Una compagine governativa che non lascia dubbi su quale sarà la linea di condotta del nuovo esecutivo. Patrimoniale, contributo di solidarietà, limitazione del contante, sarebbero le parole d’ordine. Senza dire altro riguardo ai diritti civili e all’immigrazione. Altro che Monti (il quale ha sbagliato giorno per annunciare trionfante la promessa di abbassare lo spread). Qui ci aspetta anche peggio. Forse conviene pensarci prima di non andare a votare. Meditate gente. Meditate. di Maurizio Belpietro