L'editoriale

A questo punto è meglio votare

Giulio Bucchi

  di Maurizio Belpietro Si vota. Mentre Pier Luigi Bersani inseguiva le farfalle, incontrando le parti sociali invece dei partiti che gli devono dare la fiducia, ieri Silvio Berlusconi sbatteva la porta in faccia a qualsiasi compromesso che non fosse un governo di coalizione e di concordia nazionale. Se il segretario del Partito democratico sperava di prendere tempo con l’intenzione di battere la strada dei sotterfugi, delle trattative sottobanco, della compravendita di parlamentari o del mercanteggiamento delle cariche istituzionali, nel pomeriggio a Roma il leader del centrodestra ha chiuso, con un comizio in un’affollata piazza del Popolo, ogni spazio per manovre ambigue o patti oscuri e non alla luce del sole. Altro che «doppio binario» o «convergenze istituzionali»:  le parole prese a prestito direttamente  dalla prima Repubblica per riuscire a ottenere i voti del centrodestra senza chiederli sono state rispedite al mittente. Se Bersani era convinto, dopo aver inseguito senza alcun successo il Movimento Cinque Stelle, che bastasse rivolgersi al Pdl offrendo non un programma di governo, ma solo qualche piccola apertura per l’elezione del presidente della Repubblica, offrendo cioè un nome di sinistra che non spaventasse il Popolo della libertà, beh, possiamo dire  che ha sbagliato i conti, così come meno di un mese  fa li sbagliò convinto di avere in tasca la vittoria elettorale e non il fallimento. Dal palco di piazza del Popolo, il Cavaliere ha detto chiaro che non si farà ricattare né da un programma di governo che pare confezionato su misura contro di lui né dalla prospettiva di una nomina del capo dello Stato in funzione anti-centrodestra (Zagrebelsky o Rodotà). Dopo l’occupazione delle altre due cariche dello Stato, cioè della presidenza di Camera e Senato, se la sinistra prenderà per sé anche la massima autorità, non mandando al Quirinale un moderato, per Berlusconi si tratterà di un golpe. Secondo Silvio, il sequestro del cento per cento delle cariche istituzionali da parte di una forza che ha preso il 29,4 per cento dei consensi e che ha solo lo 0,3 per cento in più del centrodestra, è inaccettabile. Il presidente  non lo possono decidere Bersani, Vendola e Monti a casa loro, quasi come fosse un affare privato. L’uomo che rappresenta la più alta carica dello Stato deve essere una garanzia e un punto di equilibrio per il Paese, non per il segretario del Pd o quello di Sel. Non è affare solo loro chi debba sedere sul Colle, ma è questione che riguarda tutti gli italiani. Che cosa significhi avere un presidente di parte, che osteggia chi ha vinto le elezioni, lo si è visto chiaramente nel passato e dunque il centrodestra non ha nessuna intenzione di cedere o di farsi ricattare dalla minaccia di arresto o di eliminazione del suo leader. È questo il messaggio arrivato da Piazza del Popolo. È questa l’eco che è rimbalzata nelle aule in cui Pier Luigi Bersani teneva le sue inutili consultazioni. Inutili non tanto perché sentire la Coldiretti o la Cgil non sia giusto, ma perché le consultazioni in genere si fanno dopo che si ha una maggioranza, un programma da proporre al Paese, un esecutivo.  Nel nostro caso, invece, il premier precario, il boy scout rosso incaricato di esplorare il Parlamento alla ricerca di voti allo stato attuale non ha né la prima né il secondo né il terzo e dunque gli incontri con le parti appaiono un modo per prendere tempo, o, per dirla più concretamente, per perderne. Ammesso e non concesso che Bersani non sappia che cosa pensa Susanna Camusso della situazione italiana e quali siano le sue aspettative, che non abbia presente quali sono i problemi delle categorie e debba farseli illustrare dal presidente della Coldiretti, che senso ha invitarli ad esprimersi quando ancora non è certo che toccherà al segretario del Partito democratico formare il nuovo governo? Che motivo c’è di far balenare esecutivi pseudo tecnici, riempiti di professori e imprenditori, quando ancora non si sa se questo esecutivo vedrà mai la luce? Ha ragione Berlusconi. Bersani sta facendo correre l’orologio senza rendersi conto di quello che sta succedendo in Europa e in Italia. Mentre a Cipro la situazione precipita, mentre altri Stati sono sull’orlo del baratro, mentre in Italia aumentano i disoccupati e le famiglie povere, diminuiscono i risparmi dei cittadini e si riducono le imprese che riescono a crescere e svilupparsi, il segretario del Pd gioca sulla pelle delle persone, senza capire la sofferenza del Paese. I problemi delle famiglie che non ce la fanno e degli industriali che gettano la spugna non sono rappresentati dal conflitto d’interessi, dal falso in bilancio o dalla eleggibilità o meno del Cavaliere, ma dalla pressione fiscale e da una pubblica amministrazione che spolpa la ricchezza nazionale.  Ma l’esploratore Bersana Jones (copyright «Padania») tutto ciò non lo capisce. Preso com’è dall’ambizione e dalla speranza di riuscire a spaccare il Movimento Cinque Stelle, il segretario insiste in una linea suicida per sé e per il Paese. A questo punto,  non bisogna indugiare oltre. Piuttosto che si continui a scherzare con il fuoco, meglio tornare a votare.