L'editoriale

La sinistra usa Berlusconi per difendere l'ultracasta

Nicoletta Orlandi Posti

  di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet L’ho già scritto: a dover essere rivoltata come un calzino non è solo l’Italia, come nel passato disse il pm di Mani pulite Piercamillo Davigo, ma anche la Giustizia. Perché se il Paese non funziona, anche i tribunali non sono messi bene. Anzi, stanno decisamente peggio perché a differenza del resto, l’ultracasta dei magistrati ne impedisce qualsiasi riforma, temendo che vengano intaccati il suo potere e soprattutto i suoi privilegi e le sue inefficienze. E se qualcuno ha dei dubbi basta che legga nelle pagine interne gli articoli di Francesco Specchia sugli stipendi delle toghe e l’intervista che, per Affari Italiani, Sergio Luciano ha fatto a Stefano Livadiotti, giornalista dell’Espresso che dei giudici sa ogni cosa, magagne comprese. Chi avrà la pazienza di leggere i due articoli capirà in fretta che se non ci fosse Silvio Berlusconi, se cioè la Giustizia non avesse l’alibi di essere sotto attacco del Cavaliere, qualsiasi governo serio dovrebbe nei suoi primi cento giorni prendere di petto la questione dei magistrati, cambiando se non tutto quasi. E non solo per una faccenda di equità, per impedire cioè che vengano spediti dietro le sbarre degli innocenti come purtroppo sempre più spesso capita, o per evitare che alcuni pm interpretino un ruolo politico contro la politica, ma perché se i tribunali non funzionano le imprese non possono ottenere ragione in tempi certi quando vengono truffate o insorge una qualche disputa, con il risultato che molte di loro scappano dall’Italia o non vi mettono piede. Con la scusa di essere sotto attacco della politica, quando in realtà sono spesso le toghe che vanno all’assalto della politica, i magistrati però riescono  a far passare sotto silenzio i loro errori, proteggendo uno dei sistemi giudiziari più inefficaci e ingiusti che ci sia in Europa. Per comodità del lettore riassumo qui alcuni degli argomenti trattati nelle pagine interne. Cominciamo dagli stipendi, che in certi casi, come dimostra Specchia con dati inediti, raggiungono i sedicimila netti. Spiega Livadiotti che, per effetto di un meccanismo di carriera che premia le toghe promuovendole anche se non ve n’è bisogno, oggi dei circa 9 mila magistrati in servizio il 24,5 per cento, cioè 2.200, indipendentemente dall’incarico svolto sono inquadrati come se svolgessero le massime funzioni previste in magistratura e, ne consegue, con il massimo dello stipendio. Un po’ come se al Corriere della Sera un quarto dei giornalisti presenti in redazione fosse equiparato al direttore. Grazie a queste furbizie i magistrati italiani guadagnano più di tutti i loro colleghi d’Europa, incassando uno stipendio che è 7,3 volte lo stipendio medio di un lavoratore dipendente, contro l’1,7 delle toghe tedesche. Ma nonostante siano strapagati, i nostri magistrati non sono certo degli stakanovisti, tanto è vero che un processo che in media in Francia si conclude in 279 giorni e in Germania in 184, in Italia dura 492 giorni. Colpa della carenza di personale e dei pochi soldi che vengono messi a disposizione della macchina giudiziaria, replicano i magistrati. Mica vero, spiega Livadiotti. Il rapporto della Commissione europea che studia il funzionamento della Giustizia mostra che in Italia si spendono 73 euro per abitante contro una media europea di 57,4. Da noi ci sono 2,3 tribunali ogni 100 mila abitanti, in Francia uno.  I dati sono favorevoli alle nostre toghe anche per quanto riguarda cancellieri e dattilografe: 3,7 addetti contro i 2,7 della Germania. Insomma, i mezzi per far funzionare al meglio i tribunali non mancano. Semmai ciò che è assente è la voglia. Ciò che non va sono le sanzioni contro i giudici che sgarrano o battono la fiacca. Tra il 2009 e il 2011 sono pervenute alla procura generale 5921 notizie di illeciti commessi dalle toghe. Peccato che ne siano state rigettate 5498, cioè quasi il 93 per cento. E qui siamo solo alla prima scrematura, perché poi tocca al Csm valutare se sanzionare disciplinarmente il giudice che sbaglia e negli ultimi cinque anni le sanzioni sono state distribuite con il contagocce. Nonostante gravi errori e omissioni (arresti di innocenti, persone dimenticate in carcere per mesi) non c’è un magistrato che sia stato cacciato dalla magistratura. Quasi sempre il Consiglio superiore punisce i colleghi che sbagliano con le pene più miti: una ramanzina e la minaccia di ridurre l’anzianità di servizio, cioè di mandare il reprobo in pensione più tardi, in modo che possa fare altri danni. L’elenco delle cose che non funzionano nei tribunali potrebbe naturalmente continuare, ma preferisco non togliervi il gusto delle sorprese contenute negli articoli di Specchia e Luciano. Mi permetto a questo punto solo una domanda: siamo sicuri che l’Italia abbia bisogno della giustizia dei famosi, cioè di una magistratura che per diventare Vip dà la caccia solo alle very important person e non a chi commette i reati che spaventano le persone comuni? Va bene inseguire Berlusconi, ma ogni tanto occuparsi anche dei Kabobo, no?