L'editoriale

Per cancellare Imu e Iva copiamo gli americani

Andrea Tempestini

Il ministro Saccomanni è preoccupato: pare che in cassa non ci sia un euro. Ma per scoprire che eravamo al verde non ci voleva mica un economista. Se l’ex direttore della Banca d’Italia ci avesse telefonato prima di insediarsi alla guida del dicastero dell’Economia, avremmo potuto anticipargli la situazione, in modo da evitargli lo spavento una volta giunto in via XX Settembre. Per rendersi conto dello stato di salute delle finanze nazionali, del resto, sarebbe bastato leggere qualche numero di Libero. Da almeno un anno sosteniamo che le misure introdotte dal governo Monti sono sbagliate e portano più guai che vantaggi, e ora ne abbiamo la prova. Invece di intravedere la luce in fondo al tunnel, come aveva promesso l’ex premier prestatoci dalla Bocconi, il buio si fa sempre più fitto.  Tuttavia a impensierire il responsabile dei conti pubblici, oltre alla cronica carenza di fondi, pare ci sia dell’altro. Secondo quanto riferisce il quotidiano La Stampa, non soltanto mancano i soldi per evitare l’aumento dell’Iva e per cancellare l’Imu sulla prima casa, ma si rischia che ne servano altri per far quadrare il bilancio dello Stato. La spiegazione dello stato d’animo del ministro si trova nelle previsioni di crescita degli Stati Uniti. Dopo quattro anni di via crucis, l’America, a quanto pare, si prepara alla resurrezione, migliorando i propri indici di crescita. La qual cosa, invece di rallegrare Saccomanni, lo induce a rabbuiarsi in quanto, se la locomotiva Usa corre e quella europea viaggia a passo di lumaca,  è assai probabile che la prima attiri investitori, sottraendoli  al Vecchio Continente. Ma quali sarebbero gli effetti sulla nostra già fragile economia se i soldi, anziché essere investiti in Italia, fossero dirottati Oltreoceano? La risposta è piuttosto semplice. Se gli investitori scommettessero sugli Stati Uniti a scapito nostro, a noi toccherà alzare i tassi. Fino a quando tutto sembrava andare male e tra America ed Europa non c’era differenza, la prima non faceva concorrenza alla seconda. Tuttavia, se ora l’economia a stelle e strisce ripartisse, per noi sarebbero dolori. Già parecchi operatori prevedono che nel prossimo futuro, per effetto della richiesta, i tassi d’interesse dei Treasury bond crescano e qualcuno addirittura ipotizza un raddoppio, dal 2,29 per cento al 5.  Se così fosse, per gareggiare con i titoli di Stato Usa, potremmo essere costretti a mettere sul piatto percentuali di remunerazione del capitale del 7 o 8 per cento. Con ciò che ne consegue per i conti pubblici: tutte le chiacchiere sullo spread, su quanto ci costa finanziarci e sulla ripresa di credibilità del nostro Paese a livello internazionale andrebbero a pallino, lasciandoci più in bolletta di prima. Tuttavia, il problema non è cosa fanno gli Stati Uniti e come va la loro economia. Il problema è perché, dopo quasi due anni di cura (la crisi cominciò a palesarsi prima dell’estate 2011 ed esplose al rientro delle vacanze), quella italiana non va. Se dopo 24 mesi di austerità, di tasse di solidarietà, di Imu, di riforma delle pensioni e del lavoro, di Tares e così via, siamo ancora allo stesso punto, non è che abbiamo sbagliato qualcosa? Come i lettori sanno, Libero ha spesso criticato le misure introdotte dal 2011, ritenendo che fossero controproducenti. Non vogliamo dire di avere avuto ragione, però ci piacerebbe che qualcuno rispondesse a una domanda molto semplice. Negli ultimi anni gli Stati Uniti, invece di imporre nuove tasse, hanno tagliato il deficit federale, riducendolo del 40 per cento. Per far quadrare i conti la Federal Reserve ha stampato montagne di dollari, immettendo denaro fresco nel circuito. La Casa Bianca ha investito cercando di far tornare un clima di fiducia, e infatti i consumi sono ripartiti. Il mercato immobiliare è in ripresa e perfino il debito complessivo degli americani si è ridotto. La cura che ha rimesso in piedi l’economia non è consistita in tasse e austerità, ma al contrario in una politica fatta di imposte sotto controllo, liquidità e ottimismo. Il contrario, in pratica, di ciò che è stato fatto da noi. In Italia, infatti, si sono preferite le lacrime e sangue, misure che hanno provocato altre lacrime e sangue e a distanza di due anni non ci inducono all’ottimismo. La domanda semplice è dunque questa: ma se gli Usa hanno battuto la recessione facendo l’opposto di quanto abbiamo fatto in Italia, perché noi continuiamo a fare il contrario? È una domanda a cui credo sia facile rispondere, ma che inevitabilmente se ne tira dietro un’altra: ma non è che noi siamo guidati da una banda di fessi, per non dire di peggio? A chi ne ha il potere la risposta.  di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet