L'editoriale

La toga Esposito lo dimostra: per il Cav non c'è giustizia

Andrea Tempestini

Può un giudice anticipare ai giornali prima che ai legali della difesa le ragioni per cui ha condannato un imputato? Può un giudice motivare una sentenza sostenendo il contrario di quanto è scritto negli atti del processo d’appello da cui discende la sua stessa decisione? Può un giudice manifestare poca simpatia nei confronti della persona che è sottoposta al suo giudizio senza farsi scrupolo di astenersi? La risposta è sì a tutti e tre i quesiti. Nonostante in altri Paesi ciò costituisca immediata causa di ricusazione del magistrato o di revisione della sentenza, in Italia è tutto regolare, tutto assolutamente  nella norma. A patto però che ci sia di mezzo non un tipo qualsiasi, ma Silvio Berlusconi.  Per il Cavaliere esiste infatti una giurisprudenza speciale, che fa caso a sé e ogni volta stupisce. Se per altri l’assenza della pistola fumante o di una prova regina è elemento decisivo, nel processo contro l’ex presidente del Consiglio è un fatto marginale, praticamente trascurabile. Dunque se il consulente dell’accusa ammette a denti stretti che non esiste alcuna evidenza chiara e inequivocabile di un passaggio di denaro tra gli imputati, questo non basta a evitare che l’ingranaggio giri implacabile fino alla soluzione finale, ovvero alla pena definitiva. E se negli atti del processo non risulta alcun teste che confermi di aver parlato con Berlusconi di diritti tv, si può dire il contrario, sostenendo che l’imputato sapeva e dunque è colpevole.  Da non credere? Sentite qua. Ieri Antonio Esposito, presidente della Corte che ha condannano il Cavaliere a quattro anni di carcere, ha rilasciato un’intervista al Mattino di Napoli in cui sostiene che la colpevolezza dell’ex premier non è basata sul presupposto che l’imputato «non potesse non sapere» della frode fiscale, ma dalla prova che sapeva. Dice l’illustre magistrato che ci sono fior di testimoni che lo hanno riferito. Eppure negli atti del processo d’appello non se ne trova traccia e anzi sta scritto che «è del tutto superflua la prova negativa per testi sul fatto, la prova che Berlusconi avesse dato istruzioni affinché così si calcolassero gli ammortamenti. Perché era pacifico che nessun teste aveva affermato che tale intervento vi fosse stato». Parole loro, scritte nero su bianco nella sentenza che ha condannato in secondo grado Berlusconi a quattro anni di carcere. Eppure il giudice chiamato a confermare il giudizio d’appello nell’intervista al Mattino dice il contrario. Non che il Cavaliere non potesse non sapere, ritenendolo colpevole sulla base di un presupposto, ma proprio che sapeva, perché i testimoni glielo avrebbero detto. Forse il presidente della Cassazione parlava di un altro processo? Oppure non ha letto le carte che gli sono servite per condannare Berlusconi? Mistero. Ma la giurisprudenza che riguarda il Cavaliere ieri ha registrato un altro importante passo avanti. Di solito, quando si fa una sentenza, poi si depositano entro qualche settimana le motivazioni, argomentando nel dettaglio perché si è giunti a una certa conclusione. Il presidente Esposito invece è protagonista di una innovazione giuridica: le motivazioni via intervista. A soli pochi giorni dal pronunciamento, il magistrato ha affidato le sue riflessioni a un cronista del principale quotidiano partenopeo. Non si tratta di un’intervista rubata o di due battute strappate all’improvviso in un corridoio del tribunale, ma di una lunga conversazione, nella quale il giudice trova modo di manifestare il proprio rincrescimento per  non aver potuto fare entrare le telecamere nel Palazzaccio. Fosse stato per lui avrebbe aperto le porte dell’aula giudiziaria alle tv, così da trasformare il processo in un avvenimento di rilevanza sociale. Purtroppo, a causa della bagarre di cineoperatori, il fine giurista ha dovuto far marcia indietro, rinunciando all’idea della diretta tv in mondovisione. Peccato, sarebbe stata una buona occasione per un reality sulla giustizia.  Ciò di cui però non è dispiaciuto affatto il presidente Esposito è - appunto - la conclusione cui è giunto il collegio giudicante da lui presieduto. Perché Berlusconi è stato condannato non in base ad una argomentazione logica – «che non può mai diventare principio alla base di una sentenza» (parole sue)- ma «perché veniva portato a conoscenza di  quel che succedeva». Nella mattinata di ieri, quando sono cominciate a grandinare le critiche alla sua intervista, l’illustre magistrato ha provato a negare di aver detto quanto attribuitogli dal cronista, ma la direzione del Mattino ha confermato tutto, annunciando di avere la registrazione del colloquio. C’è altro? Ah, sì. Secondo Stefano Lorenzetto, il giudice Esposito in passato si era già reso protagonista di improvvide dichiarazioni anti berlusconiane, ma nessuno fino a ieri gliene aveva mai chiesto conto. È la giustizia italiana, bellezza. Anzi, la giustizia ai tempi del Cavaliere. di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet