Cerca
Cerca
+

Stato islamico, ecco chi finanzia il Califfato con il petrolio: turchi, giordani e messicani

Giulio Bucchi
  • a
  • a
  • a

Ormai è ufficiale il Califfato dell'Is si finanzia vendendo sul mercato illecito qualcosa come 40mila barili al giorno a un prezzo che generalmente non supera i 50 dollari. L'operazione vale un incasso medio di 3 milioni di dollari. Pari a 90 al mese. Giusto la liquidità che serve a finanziare l'attività ordinaria del Califfato. Armi, rifornimenti e paghe per i delinquenti che combattono sotto la bandiera nera. La domanda che sorge a molti spontanea è chi acquista i barili dell'Is e perché non si agisce contro i compratori, mentre i caccia della nuova alleanza bombardano gli obiettivi sensibili in Siria e Iraq. Compresa la raffineria utilizzata nei pressi di Raqqa. La risposta non è semplice come non è semplice bloccare la rete del contrabbando. Un primo aspetto riguarda le coperture politiche che da lontano assistono le milizie. La stampa internazionale punta il dito sul Qatar, ma nessuno ha interesse ad andare fino in fondo. Il denaro dei fondi qatarini è ovunque. A Wall Street quanto nella City. Come a Piazza Affari. L'Occidente ora non può fare a meno di quella liquidità. Così preferisce concentrarsi sulla repressione militare. Il secondo aspetto del contrabbando invece riguarda gli aspetti che commercialmente potrebbero essere definiti «retail». Siamo di fronte a una rete così capillare e ben organizzata, dal punto di vista del recupero finanziario, che mentre l'intelligence chiude un rubinetto se ne aprono altri due. Senza contare che la criminalità organizzata può essere uno dei referenti finali. In grado per giunta, in alcune aree, di fare anche da intermediario. Nel dettaglio, l'Is dopo avere estratto il greggio dai pozzi abbandonati nel 2011 da Total e Shell (gli operi siriani ovviamente ci continuano a lavorare) lo trasporta via terra in alcune raffinerie di fortuna. E trasformandolo in benzina e diesel scadente, rivende il prodotto anche con l'80 per cento di sconto. Principalmente va in Turchia. Paese Nato che dovrebbe essere un nostro alleato. Anche in questo caso i prezzi viaggiano tra i 25 e i 50 dollari al barile. «I militanti dell'Is - scriveva recentemente il Wall Street Journal - utilizzano ogni stratagemma per far attraversare la frontiera al loro petrolio. Il petrolio viene addirittura fatto viaggiare su delle zattere che seguono la corrente dell'Oriente, che dalla Siria attraversa la provincia turca di Hatay per poi sfociare nel Mediterraneo». Una parte del materiale raffinato finisce anche in Giordania e persino in Iran attraverso il Kurdistan. Gli intermediari pagano in contanti o con altri prodotti necessari per la manutenzione delle vetture o la sussistenza dei miliziani. Ovviamente va per la maggiore l'uso del contante, che la struttura finanziaria che fa capo ad Al-Hamoud Ali detto Abu Luqman, riesce a movimentare usando consolidati sistemi di money transfer. Già una dozzina di anni fa Al Qaeda aveva sperimentato la movimentazione del cash tramite l'evoluzione del sistema hawala-hawala. Ovvero una triangolazione di denaro via telefono e tramite uomini dislocati in ogni villaggio e città. La comunità internazionale sta ovviamente facendo pressioni soprattutto sul principale importatore di greggio "sporco": la Turchia. Secondo l'esercito locale, nelle ultime settimane i militari avrebbero sequestrato 13.400 litri di combustibile al confine con la Siria. Una goccia nel mare del contrabbando. tanto da far pensare a un impegno di facciata, più che una volontà radicata e politica. A ciò va aggiunto un business decisamente più globale che prende origine dai buchi legislativi e dalle conseguenti dispute legali tra il governo di Bagdad e quello della regione autonoma dei Curdi. Il governo centrale iracheno ha sempre sostenuto la propria supremazia sulle questioni energetiche, ma i curdi contestano la gestione di alcuni pozzi e la vendita di una serie di lotti in giro per il mondo. Lo scorso agosto due petroliere sono scomparse dalla vista dei radar. Una nel Mediterraneo e una nel Golfo del Messico.  Le sparizioni sono avvenute dopo che Bagdad aveva cercato di bloccare la vendita. Sembra che i miliziani siano riusciti a intromettersi. La petroliera nel Golfo del Messico, originariamente diretta in Texas, è stata avvistata per l'ultima volta e dopo un blackout di 20 ore, in ingresso in acque messicane. In molti pensano che qualche signore della droga possa aver fatto da mediatore. di Claudio Antonelli

Dai blog