Da Parigi all'Isis. "La mia vita da incubo insieme ai tagliagole"
È stata fortunata, Sophie. Lei è riuscita a tornare indietro, è sfuggita al fuoco dell' inferno, cavandosela con qualche bruciacchiatura qua e là. Dallo Stato islamico, di solito, non si torna indietro. Lì si muore in gloria di Allah, e la regola vale per gli uomini come per le donne. Sophie Kasiki, invece, ce l' ha fatta: è rientrata in Francia, è sopravvissuta al Califfato assieme al figlio Hugo, ha potuto riabbracciare suo marito Julien. E ha deciso di raccontare il gorgo nero che l' ha risucchiata, convincendola a partire per la Siria e a votarsi al jihad. Il suo libro, in uscita per l' editore tre60, si intitola Fuggita dall' Isis. Confessioni di una seguace pentita (firmato assieme a Pauline Guéna): è terribile quanto istruttivo, perché spiega come una donna «occidentale» possa compiere il cosiddetto «processo di radicalizzazione» e, soprattutto, racconta nel dettaglio che cosa vuol dire vivere sotto i tagliagole. Sophie nasce a Kinshasa, in Congo, nel 1981. Ancora bambina, dopo la morte della madre, si trasferisce a Parigi e si costruisce un' esistenza normalissima. Si sposa, mette al mondo un bambino e lavora come assistente sociale in un centro di integrazione per immigrati. È lì che inizia il suo avvicinamento alla religione musulmana. Si tratta di un sentiero su cui Sophie si incammina da sola, forse dopo aver osservato i tanti islamici che passano nel suo centro. «Il mio percorso contraddice l' idea che la Francia pulluli di imam impegnati a fare proseliti tra gli onesti cittadini. La prima volta che ho incontrato un imam avevo già deciso di diventare musulmana». Questo è il primo dei punti fondamentali. Capiamo che non è più necessario frequentare una moschea per radicalizzarsi. Si può anche fare tutto da sé. Sophie sente «un vuoto», e vuole riempirlo. Svolge un lavoro particolare, e sulla sua tendenza a impegnarsi nel sociale faranno leva i reclutatori dello Stato islamico. Intanto, però, per «ritornare» (così si dice) all' islam, le basta acquistare una copia del Corano e una raccolta di detti del Profeta. Manca solo un passaggio: la professione di fede. Diventare musulmani è semplicissimo, basta pronunciare la shahada: «Dichiaro che non esiste altro Dio all' infuori di Allah e che Maometto è il suo messaggero». Va recitata alla presenza di due testimoni (musulmani e maschi), senza alcun cerimoniale. Grazie a un' amica, Sophie trova i testimoni, si reca in moschea e il gioco è fatto: si è convertita, all' insaputa di suo marito, con cui fra l' altro le cose non vanno bene. Sophie è sempre più insoddisfatta. Sul lavoro la situazione peggiora. Questo miscuglio oscuro di insoddisfazione e depressione rendono la ragazza indifesa di fronte agli avvoltoi che presto cominceranno a svolazzarle attorno. Il centro per immigrati organizza eventi ricreativi, e tra i partecipanti ci sono tre ragazzi: Idriss (senegalese), Mohammed (marocchino) e Souleymane (del Burkina Faso). Sophie è loro amica, ne frequenta le famiglie. Sa che sono musulmani, ma non avrebbe mai immaginato che - nel settembre 2014 - sarebbero partiti per la Siria, arroulandosi nelle schiere del Califfato. Un giorno, Idriss via web contatta Sophie, all' apparenza per usarla come tramite con la famiglia. Ma l' obiettivo è un altro e la donna lo scoprirà soltanto dopo. Quando, nell' inferno di Raqqa, si domanderà: «E se mi avessero fatto il lavaggio del cervello?». Mentre la vita privata e matrimoniale di Sophie peggiora a vista d' occhio, i contatti con i tre giovani aumentano. Sanno come stuzzicarla: le raccontano che in Siria si può fare del bene. Le dicono che nell' ospedale delle donne nella capitale del Califfato c' è tanto bisogno d' aiuto. I mesi passano, e Sophie si decide. Racconta al marito di essere diretta in Turchia per fare volontariato. Dice che tornerà presto, lo convince a farle tenere Hugo, che ha appena quattro anni: sarà una pausa di riflessione per entrambi. Il lavaggio del cervello è completato: Sophie parte. Come si raggiunge il Califfato? Passando dal confine turco. «Benché ufficialmente chiusa, la frontiera tra Turchia e Siria è in realtà molto porosa, e i commerci sono intensi e frequenti. Come non tarderò ad accorgermi, nello Stato islamico non manca niente e i negozi traboccano di merce. Si trova di tutto, in particolare i prodotti turchi delle marche più note». Una volta in Siria, bastano pochi giorni a Sophie per rendersi conto di essere in un luogo spaventoso. Tanto per cominciare, le impongono nuovi abiti: «Il pezzo principale è costituito da un' ampia tunica nera di tessuto pesante, lunga fino ai piedi, senza collo e a maniche lunghe, chiamata abaya. In genere sotto si portano i vestiti normali. Sopra si indossa una mantella larga e spessa che copre i capelli e il collo arrivando fin sotto il sedere. (...) Ha la funzione di dissimulare il più possibile le forme femminili. (...). Per ultimo va indossato il velo vero e proprio, che nasconde completamente il viso, occhi compresi. (...) Con il primo velo sollevato, la donna riesce a distinguere vagamente i contorni delle cose, come quando si guarda il mondo attraverso un tessuto liso. Quando entrambi i veli sono abbassati sugli occhi, non si vede praticamente nulla, a meno di non essere in pieno sole». Non può girare da sola, i tre ragazzi sono i suoi tutori. «In giro si vedono più che altro combattenti stranieri. Le donne sono rare: figurine completamente nere che saltano subito agli occhi, indistinguibili tra loro, e che fendono la folla come fantasmi». A Sophie è riservato un appartamento nel palazzo in cui vivono i suoi «amici». Sopra di lei, vive una famiglia siriana. «In seguito scoprirò che si tratta di una precisa strategia dell' Isis: per evitare i bombardamenti mirati della coalizione, si sparpagliano per la città, mescolandosi alla popolazione civile. In tutta Raqqa non c' è un solo palazzo occupato esclusivamente da combattenti stranieri. Quella famiglia siriana non è stata cacciata unicamente perché la sua presenza protegge gli stranieri (...). I cittadini di Raqqa fungono da scudo umano». Del resto, «i siriani occupano lo scalino più basso della piramide sociale. Quelli che hanno deciso di collaborare col regime (...) se la passano decisamente meglio degli altri. Sia i sostenitori di Assad sia quelli dell' Esercito siriano libero (...) sono braccati, perseguitati e massacrati senza pietà». Gli stranieri, i foreign fighters, sono i dominatori del Paese, i colonizzatori islamici: «Per le strade i combattenti stranieri sono abituati a mostrarsi prepotenti», girano armati e la fanno da padroni. E il famoso ospedale in cui lavorare? Sembra «una fabbrica di neonati scaturita dalla fantasia malata di qualche scribacchino». Le condizioni delle donne incinte sono terribili, le convertite straniere le maltrattano. Tutto è orrendo, a Raqqa. Finalmente, Sophie si rende conto di dove è finita, ma è troppo tardi. I tre ragazzi che l' hanno reclutata non le permettono di tornare a casa. La segregano. Vogliono strapparle il bimbo e portarlo in moschea: gli danno un fucile, lo fotografano e spediscono lo scatto a Julien, il padre lontano, che nel frattempo impazzisce dal dolore. Sophie, dopo una serie di peripezie e dopo aver rischiato la vita in mille modi, riesce a contattarlo, gli dice dove si trova. Julien si danna: raccoglie migliaia di euro, trova i contatti - appoggiato dalle autorità francesi - per far uscire la moglie dalla Siria. E, alla fine, ci riesce. Sophie è stata fortunata. Ha beneficiato dell' aiuto di una famiglia di Raqqa che si è messa in pericolo per proteggerla. Suo marito non l' ha abbandonata. Ha avuto un po' di fortuna. Ha visto il demonio ed è tornata per descriverlo. Leggete la sua storia, e saprete quanto è grande il Male che ci sta attaccando. Francesco Borgonovo