Obama difende Israele
"No all'atomica dell' Iran"
Barack Obama si trova a proprio agio nei panni di candidato democratico alle elezioni del prossimo novembre. Lo dimostrano le dichiarazioni che sta rilasciando nel corso del viaggio in Medio Oriente da dova ha affrontato alcuni delicati temi di politica estera come la questione palestinese e la rincorsa al nucleare dell'Iran. Durante una conferenza stampa con il ministro degli Esteri israeliano, Tzipi Livini, Obama ha detto: “Continuo a dire che Gerusalemme sarà la capitale di Israele. E difenderò il vostro Paese”. Una presa di posizione di fronte ad un nodo ancora irrisolto: il ruolo della città portò alla rottura delle trattative delle trattative di Camp David nel luglio del 2000 tra l'allora presidente d'Israele Barak e l'ex leader storico dell'Olp, Arafat. Dai tempi del conflitto del 1967, quando l'esercito ebraico occupò i quartieri orientali, i palestinesi rivendicano la parte est che considerano capitale del futuro stato di Palestina. Lo status di capitale fu proclamato da Israele nel 1980, ma non venne mai riconosciuto dai Paesi arabi. “Si tratta di uno status finale che dovrà essere deciso dai negoziati. La comunità internazionale, inclusi gli Usa, non riconosce la rivendicazione di Israele che sia Gerusalemme la sua 'eterna indivisa capitale'”. Sui rapporti tesi con Teheran, Obama non ha dubbi: “Gli iraniani devono capire che sia l'amministrazione Bush che, se sarà, quella di Obama, la preoccupazione è propria degli Usa". E aggiunge: "Penso che per noi ci sia anche la possibilità di applicare sanzioni più rigide all'Iran ma anche di migliorare la relazioni con la comunità internazionale nel momento in cui decidano di interrompere il nucleare”. Ma il presidente Ahmadinejab rilancia: il suo Iran “non arretrerà di un solo millimetro di fronte alle potenze dell'oppressione”. I toni tornano così a salire dopo l'incontro a Ginevra di sabato scorso tra il capo negoziatore iraniano sul nucleare, Said Jalili, e il capo della diplomazia europea, Javier Solana, con i rappresentanti di Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e Germania (i 5+1) e la partecipazione, per la prima volta, dell'emissario Usa William Burns. Un appello per cambiare le sorti dell'Iran arriva da Maryam Rajavi, neo-eletta presidente del Consiglio nazionale della resistenza iraniana. A margine della conferenza che si è tenuta oggi alla Camera dei Deputati, la Rajavi spiega che il governo del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad “è una dittatura del ventunesimo secolo, così debole e così in contrasto con la comunità internazionale che se facesse un passo indietro si dissolverebbe”.