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Coronavirus, le priorità di Ursula Von Der Leyen: c'è il Covid-19, l'Europa dà soldi a Greta Thunberg

Fausto Carioti
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C' è una cosa molto più resistente del Coronavirus, ed è la stupidità degli uffici di Bruxelles. Giovedì 19 marzo, mentre le Borse di tutta Europa lottavano per non sprofondare e il segretario generale dell' Onu avvertiva che «una recessione globale, forse di dimensioni record, è quasi una certezza», la commissione guidata da Ursula von der Leyen tirava fuori, lontano dai riflettori, un documento di sei pagine che annunciava una novità importante: il progetto di ridurre l' uso dei combustibili fossili in modo molto più rapido e brutale di quanto previsto sinora.

 

Questo nel momento in cui il prezzo del petrolio, principale delle fonti che si vogliono cancellare, crollava a valori bassissimi: dai 67 euro al barile di un anno fa ai 25 di oggi. Ha senso, ora che ogni risorsa pubblica dovrebbe essere usata per impedire che le imprese chiudano e i consumi crollino, spendere miliardi per incentivare l' uso delle fonti energetiche "verdi", sempre meno convenienti? Per l' esecutivo europeo, assolutamente sì.
Il piano in vigore prevede di tagliare le emissioni di CO2 del 40% nei prossimi dieci anni: uno sforzo già enorme, che implica l' adattamento forzato di molti settori industriali e l' introduzione di ulteriori tasse a carico delle fonti energetiche tradizionali. Gli Stati "ricchi" pagheranno di più: l' Italia, ad esempio, sarà chiamata a sostenere non solo la propria riconversione, ma pure quella dei Paesi più arretrati e a maggior uso di carbone.

Non sembra essere abbastanza, però. Il 15 gennaio scorso, che è come dire in un' altra epoca, i parlamentari europei, incalzati dai "Fridays for future" di Greta Thunberg e dai lobbisti delle aziende della "green economy", avevano chiesto alla commissione di valutare un taglio delle emissioni pari al 55% (rispetto ai livelli del 1990), anziché del 40%. E l' esecutivo europeo ha pensato bene di tirare dritto, presentando giovedì uno studio di fattibilità nel quale l' esplosione dell' epidemia che ha messo in ginocchio l' economia mondiale nemmeno è accennata, come se fosse un evento trascurabile che nulla cambia nei programmi di Bruxelles.
La commissione, in quel documento, ammette che «accelerare la transizione verso la neutralità climatica probabilmente renderebbe gli impatti sociali e occupazionali più pronunciati a breve e medio termine», in particolare per i settori legati alla "vecchia" economia. Riconosce pure che l' aumento delle tasse a carico dei combustibili fossili e gli altri provvedimenti pensati per ridurre le emissioni di CO2 del 50-55 per cento in dieci anni potrebbero penalizzare «il ceto medio, le famiglie vulnerabili e le persone che vivono nelle aree periferiche». Ma ciò non basta per rinunciare al progetto.
Gli stessi sindacati europei, nelle settimane scorse e prima che il Covid-19 dilagasse, hanno avvisato che il piano verde della von der Leyen mette in pericolo 11 milioni di posti di lavoro nel continente. I quali si andrebbero ad aggiungere a quelli che, inevitabilmente, verranno cancellati dall' epidemia. Tutto inutile: chiamati a scegliere tra la realtà e i loro dogmi, i legislatori europei continuano a preferire i secondi.

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