La neutrale Svizzera si spacca sui minareti
Un referendum a novembre per vietarli
Il 29 novembre gli svizzeri voteranno un referendum per vietare la costruzione di minareti. L' iniziativa è promossa dal partito di destra Swiss People, che sostiene che un minareto è un simbolo di intolleranza islamica. Il dibattito viene da un paese che si vanta di integrare la sua vasta popolazione di immigrati e che ha in gran parte evitato gli scontri sui diritti delle minoranze musulmane, visti altrove in Europa. Il mondo economico svizzero è particolarmente preoccupato di una possibile reazione del mondo musulmano. Per esempio, la Swatch Group Ltd. è preoccupata che le sue relazioni con i paesi musulmani - mercato importante per i suoi prodotti - saranno in pericolo se l'iniziativa passa. "Il marchio 'Swiss' deve continuare a rappresentare i valori quali l'apertura, il pluralismo e la libertà di religione", ha detto Hanspeter Rentsch, membro del consiglio esecutivo di gestione di gruppo presso loaSwatch. "In nessun caso deve essere portato in connessione con l'odio, l'animosità nei confronti degli stranieri e la ristrettezza mentale." Lo Swiss People ha raccolto il doppio di firme necessarie per un referendum. La sua campagna di manifesti raffigurava una donna in burqa di fronte a una fila di minareti a forma di missili. Alcune città, come Basilea, hanno vietato i manifesti, mentre Zurigo e altri li hanno consentiti, in nome della libertà di espressione. Secondo un sondaggio nazionale, il 53 percento degli elettori si oppone al divieto, mentre il 34 lo supporta. I leader musulmani sono comunque preoccupati. “Questa iniziativa ci dice che i musulmani non sono i benvenuti qui”, ha detto Elham Manea, docente di scienze politiche presso l'Università di Zurigo. "Se passa, si prospetta la possibilità di radicalizzazione tra i giovani. Sarebbe una grande delusione". Alcuni dicono anche che se pure il referendum non passasse, la tensione resterebbe alta. "Non si concluderà qui", dice Hisham Maizer, capo della Federazione delle organizzazioni islamiche in Svizzera. "Il dibattito sull'Islam in Svizzera è appena iniziato". La polemica è insolita in un paese dove il 20% della popolazione è straniera, e che ha adottato un approccio pragmatico per integrare gli immigrati. Circa 400.000, ovvero circa il 5% dei residenti in Svizzera è musulmano. La maggior parte di origine turca e balcanica, con una piccola minoranza del mondo arabo. Secondo un sondaggio del governo datato 2000, meno del 15% dei musulmani svizzeri praticava attivamente. In effetti, solo quattro delle circa 150 moschee in Svizzera hanno minareti. Ultimamente, però, i musulmani conservatori hanno spinto per un maggiore riconoscimento della loro fede. Un gruppo è riuscito a fare un appello ai tribunali svizzeri per consentire ai genitori di vestire i propri figli con abiti musulmani durante le lezioni. Il governo svizzero ha reagito con forza contro il referendum sui minareti, perché teme una radicalizzazione dei rapporti con i musulmani “in casa” e di ritorsioni contro gli interessi della Svizzera all'estero. Un sì "potrebbe rendere la Svizzera un obiettivo per il terrorismo islamico", ha detto il ministro degli Esteri, Micheline Calmy-Rey. Diplomatici svizzeri stanno lavorando per rassicurare i loro omologhi dei paesi musulmani che Berna si oppone all'iniziativa. Le imprese svizzere, con molti interessi nei paesi musulmani, sono nettamente contro il referendum, per il timore di un boicottaggio, come quello che colpì la Danimarca nel 2005, dopo la pubblicazione delle vignette sul profeta Maometto. Nestlé SA, che ha circa 50 fabbriche e ricava 5,5 miliardi di franchi svizzeri (5,36 miliardi dollari) dalle vendite nei paesi musulmani, ha rifiutato di prendere posizione sul referendum. Secondo economiesuisse, circa il 7%, o 14,5 miliardi di franchi, del totale delle esportazioni della Svizzera, è rivolto ai Paesi a maggioranza musulmana. Nel 2008, le esportazioni sono aumentate del 14%, a fronte di un aumento delle esportazioni complessive del 4,3%. La Svizzera è ancora penalizzata da un battibecco con la Libia che ha portato questo paese a tagliare le esportazioni di petrolio verso la Svizzera per qualche tempo. "Il possibile impatto economico non deve essere usato come un modo per uccidere questo dibattito", ha detto Martin Baltisser, segretario generale del Partito popolare svizzero. "La questione della possibile reazione violenta contro la Svizzera è esagerata."