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Afghanistan tra donne imprigionate, alcol e tv vietate: ora cancellano pure la musica, ecco l'inferno talebano

Giovanni Sallusti

È vero, i talebani 5.0 sono molto diversi dai loro avi primitivi e integralisti. Per loro la rieducazione violenta degli infedeli è un'extrema ratio, uno strumento-limite, l'ultima delle possibilità. È gente evoluta, che diamine. Sentite il portavoce (abreve ufficializzeranno anche il social media manager) Zabihullah Mujahid, intervistato dal New York Times come si conviene ad ogni interlocutore illuminato dell'élite liberal occidentale: «La musica è proibita nell'Islam, ma speriamo che riusciremo a persuadere la gente a rinunciare, senza dover esercitare pressioni».

LE RADICI NEL CORANO
Non è colpa di Zabihullah e dei suoi compari barbuti (alcuni dei quali si stanno dedicando alla caccia selvaggia a dissidenti, donne e tutti i non-talebani casa per casa, non dev' esserci unanimità nel gruppo sul concetto di "persuasione"), è che «la musica è proibita nell'Islam». Lui non vorrebbe davvero, spegnere l'audio e agitare il bastone, ma lo chiede l'Islam, e ogni società civile, è risaputo, su quello si basa, sull'applicazione letterale della sharia. «Il Profeta ha detto che Allah gli ha ordinato di distruggere tutti gli strumenti musicali, gli idoli, le croci e tutti gli altri vessilli di ignoranza», recita l'Hadith Qudsi 19:5. Gli hadith sono gli atti e i detti della vita di Maometto, nella loro totalità costituiscono la Sunna, seconda fonte della legge islamica dopo il Corano. Non c'è niente da fare, per quanto ci si possa dichiarare più moderati di Mariano Rumor e ci si abitui a discettare a colazione col direttore della Cia, non si può derogare.

C'è solo da sperare nel buonsenso degli afghani, nella loro ragionevolezza e capacità di farsi "persuadere a rinunciare", nell'auto-sottomissione volontaria prima che si debba arrivare a "dover esercitare pressioni", un'eventualità davvero sgradevole per Zabihullah e amici di sharia. Suvvia, basta adeguarsi ai diktat e nessuno si farà male: divieto di suonare uno strumento, divieto di ascoltare musica e canti di alcun tipo, eccetto uno. Quello che accompagna le preghiere del muezzin, il canto sacro. Per il resto, la musica è infedele per definizione, non a caso l'hadit in questione accomuna gli "strumenti" agli "idoli", alle "croci" e agli altri "vessilli di ignoranza", ovvero di non fede in Allah. La teocrazia è anche teocrazia dei suoni, ricordatevelo, ci spiacerebbe rinfrescarvi la memoria a suon (appunto) di frustate, come avviene da anni nelle zone del Paese che erano già sotto il controllo dei gentiluomini coranici.

L'ISTITUTO
Certo, non vediamo benissimo entità come l'Istituto nazionale di musica afghano, fondato nel 2010 e diventato nel frattempo un'eccellenza che ha strappato bambini e ragazzi alla povertà e agli odi tribali. Fra i suoi obiettivi figuravano: riesumare le tradizioni musicali locali, emancipare le ragazze, promuovere la parità di genere. Tutta roba che i nuovi guerriglieri maomettani vogliono convincere a gettare al macero senza esercitare pressioni, non sarebbe nelloro stile. Eppure, il direttore dell'Istituto Ahmad Sarmast e la prima direttrice d'orchestra afghana, la 24enne Negin Khpalwak, non si sono fidati del suddetto stile, e sono scappati dal rinnovato paradiso talebano. Il quale, immaginiamo, oltre al niet alle canzoni riproporrà altre usanze della casa, sempre con moderazione e garbati inviti alla rinuncia.

Tra le proibizioni più balzane imposte dai legislatori islamisti durante il loro dominio in Afghanistan figurano: radersi la barba, tagliarsi i capelli "all'occidentale" (mentre è obbligatorio radersi i peli di ascelle ed inguine), usare il computer, guardare la tv, utilizzare il cellulare per qualsivoglia scopo, ovviamente bere alcolici, giocare a scacchi, organizzare partite di calcetto. C'è poi il delirante capitolo femminile, che oltre all'imposizione del burqa prevede tra l'altro il divieto di cosmetici e gioielli, quello di utilizzare calzari rumorosi (il frastuono dei tacchi divenne reato nel luglio 1997) e perfino quello di ridere in pubblico. D'altronde, è difficile che nel Paese (ri)modellato sulla sharia vi siano molte occasioni di ilarità, visto come i soci di Zabihullah sono avvezzi a "persuadere" i comici a piantarla con le battute: sequestrandoli, torturandoli e infine sgozzandoli e lasciandoli cadaveri per strada, come è capitato nei giorni scorsi al famoso Khasha Zwan. Essì, in quel caso si sono trovati costretti ad "esercitare pressioni". Ma l'avranno fatto controvoglia, siamo sicuri.