E la minaccia islamica?

Recep Erdogan, nelle mani del dittatore turco: ciò che pochi sanno sul gas russo, come può finire la guerra

Renato Farina

In questo preciso momento, chi sta vincendo la guerra, è lui, Recep Tayyip Erdogan. Per fortuna. E purtroppo. Per fortuna, perché ci voleva uno bravo a far sedere a un tavolo di dialogo finalmente serio i nemici che si stanno ancora scannando. Li ha accolti nella sua Istanbul, ha ospitato le due delegazioni non in un luogo neutro, ma nel posto più simbolico dell'impero ottomano e del suo sogno di ripristinarne la potenza: il Palazzo di Dolmabahce, residenza meravigliosa dei sultani sul Bosforo. È stato bravo. Le dichiarazioni di Erdogan comunicano ottimismo, hanno fatto crollare il prezzo del petrolio, ha con benevolenza convenuto che le due parti hanno «legittime preoccupazioni» ma che il risultato che si sta affacciando è «accettato dalla comunità internazionale».

 

 

IL TESSITORE
Non è arrivato a questo risultato per un colpo della buona sorte. Ma usando una creatività diplomatica che né l'Unione Europea di Ursula von der Leyen né tantomeno gli Usa di Joe Biden hanno saputo mettere in scena. Sono mesi che il presidente turco, che d'ora in poi nessuno chiamerà "dittatore" come fece Mario Draghi, sta ricucendo i rapporti con tutti. Ma proprio tutti. Era inviso agli americani pur essendo membro della Nato per aver acquistato un sistema di difesa missilistica da Mosca. La quale a sua volta ha interessi opposti in Libia, perché la Turchia sta con Tripoli, invece la Russia sta con Bengasi e l'Egitto. Ha risistemato i rapporti con il Cairo, si accorda volentieri con la Cina, si fa pagare molto bene dall'Ue per accogliere i rifugiati che ha contribuito, sostenendo l'Isis, a far fuggire dalla Siria. Si è persino riappacificato con l'Arabia Saudita e gli Emirati arabi uniti. Prima della guerra ha fatto la spola tra Putin e Zelensky, cercando di convincerli a sistemare le loro pratiche. E adesso, senza aver perso un soldato, ha conquistato mezzo mondo, e ha buone prospettive di essere a tempi brevi l'ago della bilancia del nuovo ordine geopolitico - buono o cattivo che sia - una volta che sarà chiusa, o almeno rabberciata, la crisi a rischio di guerra nucleare che sta producendo «fiumi di sangue» in Ucraina dopo l'aggressione russa. Erdogan l'ha condannata, senza se e senza ma. Ma non ha inflitto sanzioni alla Russia.

 

 

Equilibrio perfetto. Meno male. E però purtroppo. Purtroppo perché i fatti hanno messo sul piedistallo della storia e regalato un prestigio imprevedibile a un nemico giurato della libertà di parola, un incarceratore di giornalisti rispetto a cui Putin è un dilettante, sostenitore degli islamisti più radicali, uno che all'Italia ha rubato i pozzi di idrocarburi al largo di Cipro per i quali l'Eni aveva stipulato i suoi bei contratti; un capo di Stato che minaccia di impossessarsi dei ricchissimi fondali, quanto a gas e petrolio, della Tripolitania, e che sta conquistando la Somalia finanziando anche lì estremisti islamici. A Natale era dato per politicamente morto. E la domanda era: quanto durerà? Stava portando alla rovina l'economia del proprio Paese (il tasso d'inflazione ufficiale è del 21%, quello reale è intorno al 60%, la lira turca ha dimezzato il suo valore). Ma quelli sono problemi turchi. Il fatto è che schifosamente ha mandato in guerra contro gli armeni del Nagorno-Karabakh l'Azerbaijan, dandogli manforte con i mercenari islamici tagliagole. E ora chi lo ferma, questo grande pacificatore da Nobel? Purtroppo è lui, l'eroe della diplomazia. E - dico con una certa amarezza - speriamo arrivi a un risultato. Poteva essere l'Italia, ad avere questo ruolo giocando di sponda con il Vaticano. Ci siamo bruciati questa possibilità il giorno in cui, proprio il giorno dell'invasione dell'Ucraina, il 24 febbraio, Draghi avrebbe potuto essere a Mosca, ma non ci è andato, appiattendosi ahi noi su Biden.

IL RICATTO
Siamo sicuri che il mondo - ma soprattutto l'Italia con le sue aspirazioni di libertà e pace abbia fatto un passo avanti chiudendo i rapporti con Putin e il rubinetto del suo gas, e si sia messo nelle mani del duo Erdogan- Aliyev? Quest' ultimo è il dittatore dell'Azerbaijan, dove regna incontrastato dal 1993. Oggi è il nostro principale fornitore di petrolio, e lo diventerà anche del gas, che (Dio sia benedetto!) ci invia attraverso il Tap. Proprio un bel tipo. Peccato che in queste settimane ha tolto il gas agli armeni del Nagorno, e approfittando della distrazione di Mosca (era stata la Russia a imporre l'altolà al massacro nel novembre del 2020 ponendo le sue truppe a difendere i civili armeni) ha ripreso a bersagliare questo popolo già vittima di genocidio. Ovvio che l'invasione e l'attacco alle città ucraine siano un'infamia, ma siamo sicuri che siano galantuomini i nuovi fornitori eletti a salvatori della nostra patria: oltre all'Azerbaijan, il Qatar, l'Algeria, il Venezuela e l'Iran... Comunque sia se Erdogan ci porta la pace, bravo, bene, bis. Ma stiamo attenti. C'è un episodio che dimostra quanto bizzoso sia. Il 25 dicembre 2021, Recep Tayyip Erdogan si era svegliato con la mezzaluna di traverso. Brutti pensieri. L'economia vacilla. I suoi fan sono delusi. Le elezioni del 2023 - se non rimedia con qualche golpetto - sono destinate a vederlo sconfitto. Ma in quel giorno di Natale, è contro i cani che decide di sfogare la sua rabbia. «Turchi bianchi (in gergo è il ceto medio alto, occidentalizzato, in contrapposizione ai turchi neri, poveri ma onesti, ndr)! Prendetevi la responsabilità dei vostri animali! (...) Questi cani sono i cani dei ricchi», ha urlato. Ha poi aggiunto: «Penso che la cosa importante adesso sia sbarazzarsi dei cani randagi per le strade!».