Italia spiata dalla Cina, il ruolo delle ambasciate: un caso inquietante
La Cina ci spia attraverso la nostra rete diplomatico-consolare? La domanda se l’è fatta Andrea Di Giuseppe, il deputato di Fdi eletto nella circoscrizione America centro-settentrionale. La risposta che ha trovato non è tra le più rassicuranti. Al centro di tutta la questione c’è il ruolo di contrattista: si tratta di una figura prevista per quei Paesi che hanno lingue particolari (come il cinese) che hanno, o dovrebbero avere, solo compiti di front desk, «ma che spesso, a causa della carenza del personale - racconta Di Giuseppe -, si trovano a ricoprire anche posizioni piuttosto delicate». Tutto questo succede perché «durante l’epopea dei Cinquestelle al governo - spiega il deputato - sono stati bloccati i concorsi dedicati al personale italiano e contemporaneamente sono esplose le assunzioni dei contrattisti, che oggi valgono il 35% del totale del personale».
Un numero enorme che diventa problematico in Paesi come la Cina dove le modalità di assunzione sono di fatto imposte da una legge del governo. A spiegarci come funziona è stata direttamente la Farnesina: «I cittadini cinesi vengono assunti dopo selezione. Le candidature vengono poi formalmente trasmesse all’Ambasciata da uno specifico ente cinese. Questo perché la normativa locale prevede obbligatoriamente, per tutte le Ambasciate straniere in Cina, l’assunzione tramite specifiche Agenzie di Servizi che, per quanto attiene al processo di selezione e al rapporto contrattuale, esplicano una funzione simile a quella delle agenzie interinali».
Quel dissidente cinese dimenticato dal mondo
Il nodo, secondo Di Giuseppe sta proprio qui: «Queste Agenzie di Servizio sono controllate dal governo cinese, che in quelle liste infila chi vuole. Perché no, anche spie. In più questi contrattisti dopo appena cinque anni di servizio hanno diritto al passaporto e alla cittadinanza italiana». Per farci un’idea, attualmente nella rete diplomatico-consolare cinese i contrattisti in servizio sono 122. Sulla carta, come ci conferma sempre la Farnesina, queste figure hanno mansioni «prevalentemente esecutive, con livelli autorizzativi (ad esempio nel settore visti, ma non solo) più limitati rispetto ai cittadini italiani».
Di Giuseppe però non è dello stesso avviso: «La carenza cronica di personale italiano di ruolo porta ad usare questi contrattisti anche per mansioni più delicate. Pensate - racconta mantenendo un certo riserbo - che attualmente c’è un consolato in Sud America dove in assenza del console e del suo vice, i timbri per i visti sono affidati a un contrattista...». Da qui deriva il dubbio di Andrea Di Giuseppe, che Paesi come la Cina - ma non solo - possano usare questi contrattisti per operazioni di spionaggio politico nei confronti di altri Paesi. Italia compresa.
A pensarla così non è solo Di Giuseppe, ma anche il Sindacato libero alla Farnesina (Flp), che in relazioni alle indagini scattate dopo le denunce di Di Giuseppe sulla compravendita di visti, ha denunciato la carenza del personale italiano rispetto ai contrattisti. «Non si vuole fare una caccia alle streghe - spiegano in una nota - ma non possiamo ignorare che ogni assunzione di personale locale a contratto di cittadinanza straniera, può generare un potenziale pericolo alla sicurezza nazionale».
Che fare per difendersi da questi pericoli? Anche a questa domanda prova a rispondere il deputato di Fratelli d’Italia: «Stiamo preparando un Pdl, i cui punti centrali saranno due. Il primo riguarda l’abolizione del comma della legge del 1992 che consente “allo straniero che ha prestato servizio per almeno 5 anni alle dipendenze dello Stato” di chiedere la cittadinanza italiana. Il secondo riguarda la revisione delle procedure di assunzione dei contrattisti. Il concorso dovrà essere fatto a Roma al fine di evitare indebite pressioni locali sui capi missione».
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Così dopo quello sui visti d’ingresso, per la nostra sicurezza nazionale potrebbe aprirsi anche il fronte legato ai contrattisti cinesi e più in generale di tutti gli stati canaglia. Di sicurezza nazionale relativa a queste vicende si è parlato anche durante il convegno organizzato alla Camera pochi giorni fa dal titolo “Sfide alla sicurezza globale”, nel quale è intervenuto anche Di Giuseppe che ha spiegato come non ci sia «un coordinamento a livello europeo e quindi si determina un’incapacità d’intervento. I Paesi da soli non possono farcela, serve che ci si muova in maniera sinergica in difesa dei nostri valori».