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Israele, l'aggressione nel momento più difficile: lo scontro interno

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Giovanni Longoni
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Cinquant’anni e un giorno dopo l’attacco a sorpresa da parte dell’Egitto di Anwar Sadat e della Siria di Assad padre, Israele subisce un nuovo colpo mentre ha la guardia abbassata. Ma le similitudini con la Guerra del 1973 o di Yom Kippur finiscono qua.

Allora si trattò dell’assalto congiunto dei due Paesi arabi dotati delle forze armate più agguerrite, riforniti dall’Urss e rafforzati da corpi di spedizione di tutti i vicini sunniti. Stavolta, almeno per il momento, è l’azione terroristica di uno Staterello in mano a un movimento politico votato al jihad contro lo Stato ebraico. Non che questo renda le cose più semplici, anzi. Imbattibili negli scontri convenzionali e quando sono loro a impegnarsi in azioni di commandos, gli israeliani sono meno incisivi quando la guerra asimmetrica la subiscono. È così per tutte le democrazie: contro un nemico che gioca sporco non sei in grado di rispondere ad armi pari.

Anche oggi, dal governo fino all’ambasciatore Alon Bar, Gerusalemme ribadisce che «Gli abitanti di Gaza non sono nostri nemici». Ma vittime di Hamas anch’essi. La seconda differenza è che allora Israele arrivava da tre guerre vinte. Nel 1948, quando gli Stati arabi tentarono, violando la risoluzione Onu 181, di buttare a mare il popolo di “shrulik” reduci dalla Shoah.

 

Nel 1956 con la crisi di Suez. E nel 1967 allorché, anticipando l’offensiva nemica, Tsahal (le forze di difesa di Israele o Idf) sferrò un attacco su tre fronti, facendo a pezzi in sei giorni scarsi le forze avversarie (sempre le solite). Una guerra lampo che creò definitivamente il mito dell’invincibilità di Idf. Non solo: gli israeliani conquistarono la parte orientale di Gerusalemme, con il Muro del Pianto. Fu l’anno in cui Naomi Shemer scrisse “Gerusalemme d’oro”, inno informale dell’unica democrazia mediorientale.

Nel 1973 insomma il Paese confidava troppo sulla sua superiorità bellica (tutto sommato giustamente, visto che dopo la figuraccia iniziale alla fine vinsero ancora le truppe con lo Scudo di David). Oggi invece, mezzo secolo dopo, Israele è cambiato. Non è più un Paese di contadini, operaie intellettuali. È la start.up Country e nei kibbutz si sperimentano biotecnologie. In politica questa gente ha sempre amato litigare (è il sale della democrazia) ma adesso questa tendenza deve fare i conti con una crisi istituzionale senza precedenti. È la questione innescata dalla riforma della magistratura promossa dal governo Natanyahuil sesto a guida Bibi dopo una serie preoccupante di elezioni inconcludenti. Da mesi si assiste a pacifiche manifestazioni e ad accesi dibattiti (anche nella Diaspora). Una protesta che ha spaccato Idf: centinaia di riservisti non si sono presentati alle esercitazioni periodiche. L’opposizione fra l’altro è guidata da ex generali come Benny Gantz (prima con Gabi Ashkenazi e Moshe Ya’alon). Israele non c’è dubbio ritroverà compattezza come nel 1973. Ma potrebbe non bastare a evitare la vera sconfitta, che non è militare. Perché Hamas vuole il massacro per far saltare gli Accordi di Abramo. Ed è vicina alla meta.

 

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