Israele, il silenzio colpevole dell'islam italiano
Sarebbe stata una notizia, quantomeno in senso giornalistico, se avessero detto il contrario. O, tuttalpiù, se avessero detto qualcosa. Cioè se avessero preso, pubblicamente, convintamente, fermamente, le distanze da Hamas e da quel massacro senza fine, in nome di Allah, più di seicento morti, più di 2mila feriti, circa cento ostaggi, donne, anziani e bambini, nel sud di Israele, a Sderot, a Be’eri, a Ofakim, a Urim. Sarebbe stata una notizia se per una volta, una volta soltanto, una santissima volta, le associazioni di palestinesi e di musulmani in Italia, neanche quelle in Medioriente che la propaganda se la sorbiscono appena nascono e se la portano dietro finché campano, ma qui, da noi, in Occidente, ecco, sarebbe stata una notizia se proprio loro, imam, capi religiosi, esponenti islamici, avessero preso le distanze di fronte al dolore di quegli israeliani che scoprono, oggi, sui social che i loro cari sono stati rapiti, che grazie a un video di qualche secondo apprendono che i loro amici sono stati uccisi, che provano a mettersi in contatto con le Idf- le Forze di difesa israeliane - ma non ce la fanno, riescono appena adesso, a 48 ore di distanza, a sentire qualcuno. No-è-terrorismo-e-il-terrorismo-va-sempre-condannato. Basterebbe poco. Invece è (il solito) niente.
Ma un niente che è proprio per questo significativo. Perché noi, noi occidentali, attoniti da sabato mattina davanti alla tivù, abbiamo fatto a gara per mostrare solidarietà a Israele. Il premier Benjamin Netanyahu ha avuto un colloquio telefonico col collega tedesco Olaf Scholz, con quello inglese Rishi Sunak, con l’ucraino Volodymyr Zelenskyj e con la nostra Giorgia Meloni. E poi basta. Non ce n’è stato uno, di rappresentante musulmano, in Italia e forse nemmeno in Europa, che abbia aperto bocca, che abbia condannato Hamas (e magari pure Hezbollah che sta lanciando colpi di mortaio dal Libano, tentando di accerchiare la Stella di David da nord), che abbia ammesso ciò che è sotto gli occhi di tutti, cioè che quei deltaplani della morte, quei razzi a migliaia, quelle mitragliate per strada, su civili inermi, sono una barbarie e stop. Un’atrocità e stop. Una ferocia, una brutalità. Una bestialità.
MUTISMO ASSORDANTE
Tace la pagina Facebook dell’Ucoii, l’Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia: l’ultimo post pubblicato risale al 21 settembre. Tace la pagina della Cii, la Confederazione islamica italiana: l’ultimo aggiornamento è del 6 ottobre. Tace anche quella del Coreis Italian muslim youth: che tre settimane fa si scandalizzava per il sermone su come lapidare una donna dell’imam di Birmingham, in Inghilterra, ma ora, sul bagno di sangue di Israele, non interviene. Non c’è una dichiarazione riportata da nessuna agenzia di stampa, non c’è un invito, un mezzo appello e un quarto di critica, manco una briciola di imbarazzo. Il nulla più totale.
E quelli che tacciono (quindi che non dicono niente), se li metti a fianco di quelli che invece han già cominciato a prendersela (ma a prendersela con Israele) e a far la conta dei morti (ma solo dei morti palestinesi), diventano persino “i migliori”. Perché, in realtà, qualcuno che parla c’è. C’è, per esempio, Davide Piccardo, che è il coordinatore degli islamici milanesi e che due giorni fa, mentre in Israele risuonavano le sirene e Hamas andava a cercare casa per casa gli ebrei come i nazisti durante la Kristallnacht, s’indignava, sì. Però s’indignava perché «i palestinesi devono morire in silenzio, senza disturbare». O ci sono le manifestazioni spontanee, a Londra (l’ex leader laburista Corbyn si rifiuta di condannare l’aggressione di Hamas e, una conferenza di partito, qualche attivista parla sfacciatamente dei terroristi «ascesi al martirio»), a Berlino, a New York, a Istanbul, sull’isola greca di Samos, dove centinaia di persone sono scese in strada inneggiando e festeggiando Hamas, con la bandiera palestinese e slogan di sostegno (per Gaza) e di accusa (per Israele).
«APARTHEID E OCCUPAZIONE»
Oppure c’è la onlus Associazione di amicizia italo-palestinese che sul suo sito, in un articolo pubblicato ieri, iniziava sottolineando «rimaniamo impegnati per un futuro in cui ogni vita è preziosa», epperò giusto alla riga dopo attaccava col «blocco militare israeliano di sedici anni», col «governo israeliano che ha dichiarato guerra (...) minacciando di commettere crimini contro i palestinesi assediati a Gaza» (cosa peraltro vera a metà, perché la differenza tra Netanyahu e Hamas è che il primo ha avvertito della risposta imminente, dando ai civili la possibilità di allontanarsi, la seconda no), con «la guerra di Israele contro i palestinesi che è iniziata 75 anni fa», con ««l’apartheid e l’occupazione israeliana», col «governo più razzista e fondamentalista e di estrema destra della storia di Israele» eccetera eccetera eccetera. Dimenticando che oggi, come in Ucraina l’altro ieri, i fatti sono limpidissimi: l’aggredito è uno (Israele), l’aggressore pure (Hamas). Tutto il resto è solo l’ennesima occasione mancata per aprire gli occhi.