E così la sinistra di mezzo mondo, inclusi i media progressisti italiani (quindi quasi tutti i nostri giornali), piange per la Bbc, descrivendola come aggredita dalle destre cattive, assediata dai trumpiani, oltraggiata da sovranisti e populisti. Tutte balle: chi strillalo fa per occultare un’evidenza, e cioè una clamorosa manipolazione da parte della tv britannica delle parole di Donald Trump, un grossolano “taglia e cuci” per presentarlo come l’aizzatore della folla a Capitol Hill il 6 gennaio 2021. Una figuraccia colossale: un esercizio di falsificazione e propaganda non degno di una così nobile testata. E qui scattano due osservazioni a margine. La prima: questo metodo, tra distorsioni e partigianerie meglio o peggio confezionate, è da anni un marchio della Bbc come di molti altri organi di informazione che amano celebrare la propria autorevolezza. Per restare alla tv di Stato del Regno Unito, già durante la campagna Brexit, Bbc pendeva clamorosamente da una parte (quella pro Ue), per non dire, in tempi recentissimi, di una scatenata linea pro Pal in Medio Oriente.
Oltre ogni misura, a volte contro ogni evidenza, spessissimo con uno sbilanciamento delle voci e una clamorosa mancanza di equilibrio tra i possibili diversi punti di vista. La seconda: è curioso che questi metodi (quando la causa piace ai “buoni e giusti”) possano essere tranquillamente praticati proprio da coloro che, per anni, ci avevano ammorbato con le loro campagne contro le “fake news”, oppure con l’uso sistematico del “fact checking”. Ora il velo è stato squarciato: quando fa comodo (cioè contro gli avversari) si prende la matita rossa e blu per una correzione sistematica e implacabile della più piccola imprecisione, ma quando invece la comodità propagandistica è diversa (cioè per bastonare i soggetti sgraditi) allora ogni metodo diventa lecito.
E così- vale a Londra come dalle nostre parti - è paradossale che il comportamento della Bbc risulti scandaloso solo alla destra politica, mentre la sinistra, a volte con imbarazzo e altre volte sfacciatamente, corre a giustificare l’ingiustificabile, a sostenere l’insostenibile, a difendere perfino le manipolazioni più smaccate. Ma attenzione, perchè queste distorsioni, in un tempo complesso e contraddittorio come quello in cui viviamo, si accompagnano a un’altra insidia, quella dell’eccesso di regolamentazione, di una gabbia normativa che si pretende di far calare dall’alto. E qui un recente esempio ci porta all’Italia. Si è molto parlato in questi giorni dell’Authority sulla privacy, ma il guaio a cui mi riferisco è stato causato da un’altra istituzione, l’Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (anch’essa indicata dal Parlamento precedente, a salda guida giallorossa).
E che hanno fatto i commissari Agcom? Con una loro decisione (la delibera 197/2025) hanno istituito un cosiddetto “albo degli influencer”, una specie di registro a cui dovranno iscriversi i soggetti operanti sui social e titolari di un numero significativo di “follower” odi un certa quantità di visualizzazioni (i cosiddetti influencer “rilevanti”). Tutto questo per contrastare- si sostiene - il “Far West”, cioè la libertà di parola. Risultato? Con una deriva - a mio avviso - pericolosa e illiberale, queste voci saranno assoggettate a “linee guida” e a un “codice di condotta”.
Ora, se il tema fosse solo quello di garantire trasparenza rispetto ad attività pubblicitarie, nulla quaestio. Ma in una materia delicatissima come questa, rischia di andarci di mezzo la libertà di parola, che per definizione non può essere sottoposta a una sorta di controllo amministrativo, fatalmente esposto a difformità di criteri e a discrezionalità di valutazione. Si stabilisce infatti che gli influencer siano tenuti a una presentazione veritiera dei fatti e degli avvenimenti (e chi stabilisce cosa sia “veritiero”?) e che debbano cooperare al contrasto alle strategie di “disinformazione” (di nuovo, chi fissa confini e paletti?). In caso contrario, anche sulla base della segnalazione degli utenti (immaginate il tiro al piccione), può aprirsi un contenzioso, una procedura, con il rischio, nel caso peggiore, di una sanzione fino ad alcune centinaia di migliaia di euro.
Tutto questo non convince e anzi preoccupa. Ognuno, al contrario, deve rimanere libero di scrivere e di dire ciò che vuole. Ovviamente essendo poi chiamato a rispondere in sede giudiziaria in caso di eventuale diffamazione o lesione dell’altrui onorabilità. Ma la logica della sanzione amministrativa non convince e semmai intimidisce e comprime il free speech. Deve valere (per tutti) il Codice penale, non altro. A me sfugge come si possa nei giorni pari sventolare il vessillo dell’articolo 21 della Costituzione e nei giorni dispari difendere questo genere di appiccicose regolamentazioni. Ma forse siamo sempre lì, al solito doppio standard: se sei “buono e giusto”, puoi pure distorcere e manipolare (il caso Bbc sta lì a dimostrarlo); se invece sei un cane sciolto, qualcuno corre a metterti museruola e guinzaglio. Non bene.