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Ucraina, la triste uscita di scena dell'attore Zelensky

Il leader ucraino, alla fine della fiera, non sarà difeso neppure dai suoi: quelli che ha voluto al suo fianco hanno approfittato della situazione come gerarchetti di regime e apparatcik di partito qualunque
di Marco Patricelli martedì 2 dicembre 2025

3' di lettura

Se la pace giusta è l’appianamento di tutte le divergenze che hanno scatenato una guerra e la rinascita di equilibri e serenità tra nazioni e popoli, sulla base dell’assunzione della responsabilità politica dello scoppio di un conflitto, allora semplicemente non esiste. Quindi un cambio di fraseologia o di frasi fatte, nel nome della Realpolitik che invece esiste eccome, è necessario almeno nel Vecchio continente che la diplomazia l’ha creata e regolata illudendosi di neutralizzare il ricorso alla forza con feluche, pergamene e penne d’oca.

Pensare che un galantuomo e sincero democratico come Vladimir Putin prima di firmare il trattato con l’Ucraina possa proclamare al mondo che la colpa di quel macello che arricchirà la Russia di territori e preziosissime risorse è sicuramente sua, allora il problema comunicato dall’Apollo 13 a Houston al confronto era una barzelletta da buontemponi. Pensare che Volodymyr Zelensky possa stringere la mano alla delegazione russa e poi affermare che, beh, insomma, comunque, qualche motivo Mosca ce l’aveva e che Kiev non aveva solo ragione e che combatteva per sé, mica per la democrazia e per l’Europa dalla quale voleva rubinetti sempre aperti ai rifornimenti militari, allora siamo davvero nella fantascienza inzuppata nella fantapolitica.

Putin, è nei fatti, passerà per l’eroe del suo popolo e per un eroe nazionale, e Zelensky, l’eroe nazionale per caso e leader del suo popolo sulla strada della resistenza che ha portato a una prevedibile e prevista sconfitta, diventerà il capro espiatorio. È sempre accaduto questo nella storia, con un’eccezione sola in epoca contemporanea: il Maresciallo Gustav Mannerheim in Finlandia, eroe delle due guerre contro l’Urss. Ma lui non faceva il comico prima di indossare l’uniforme, e in quella situazione non c’era niente da ridere e neppure da ridire. Francesco Giuseppe imperatore d’Austria sopravvisse politicamente a Solferino, San Martino e Sadowa, ma cercò soddisfazioni nei Balcani e mal ne incolse alla dinastia degli Asburgo che proprio a Sarajevo conobbe l’inizio della fine con l’incolpevole Carlo, il quale pagò pure colpe non sue nel prezzo della sconfitta.

Zelensky, alla fine della fiera, non sarà difeso neppure dai suoi: quelli che ha voluto al suo fianco hanno approfittato della situazione come gerarchetti di regime e apparatcik di partito qualunque, neri e rossi; quelli che ha escluso dal cerchio magico non aspettano altro che restituire il benservito con gli interessi; quelli che la guerra l’hanno fatta o l’hanno subita gli presenteranno il conto. Oggi Zelensky è un uomo solo al comando del nulla, e quando lo schema della pace impacchettato altrove sarà presentato con la formula del “prendere o lasciare”, avrà due sole alternative: dimettersi per non firmare oppure firmare per poi dimettersi.

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Carl von Clausewitz sosteneva che la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi, ma vale anche che la guerra distrugge la politica che l’ha generata con i suoi errori, di calcolo, di gestione e di disallineamento tra i desideri e la realtà. Quanto agli osservatori interessati, attivi e passivi di questa Unione Europa da armata Brancaleone, ancora una volta, va ricordato quanto i latini avevano già messo nero su bianco da tempo: primum vivere, deinde philosophari. Di filosofia se n’è fatta di ogni genere e tacca in questi anni di aspri combattimenti in cui si viveva male e si moriva di più, al pari delle chiacchiere tra giocatori di Risiko nelle feste di Natale. In mezzo, anche le pantomime, come le tournées di Zelensky in immancabile verde militare, manco fosse un Fidel Castro in salsa slava, e la comparsata al Festival della Canzone italiana a Sanremo, ipocritamente programmata in orari da metronotte. Il suo tempo è passato: ha schivato il rischio del golpe che Putin sperava nelle prime ore dell’attacco dell’Operazione militare speciale, ha schivato i droni su Kiev e il fuoco amico (mica tanto) della corruzione e persino i tè al polonio. I comici con i tempi giusti sanno stare sulla ribalta anche quando piovono pomodori, ma sanno anche quando è il momento di uscire di scena.

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