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A Washington Trump è il più buono con l’Ue

I repubblicani non ne possono più di vedere Witkoff e Kushner fare la spola tra Kiev e Mosca
di Costanza Cavalli domenica 7 dicembre 2025

3' di lettura

Senza raggiungere i quattro livelli di lettura della Divina Commedia, la sezione dedicata all’Unione Europea della Strategia di sicurezza nazionale dell’amministrazione Trump e titolata “Promuovere la grandezza europea” è stata variamente interpretata di qua dall’Oceano come un attacco o una minaccia o la pietra tombale sull’Alleanza Atlantica. Eppure a leggere il testo con gli occhi di chi l’ha scritto, e cioè una Casa Bianca a immagine e somiglianza del suo presidente, che è tutto superficie e applicazione del rasoio di Occam, c’è solo da sperare che noialtri si sappia applicare ciò sta in quelle tre pagine. Fin troppo bonaria è la questione della «scomparsa della civiltà»: gli americani scrivono che «se le attuali tendenze dovessero persistere, il continente sarà irriconoscibile nel giro di vent’anni». Anche se quasi tutti fanno finta di non accorgersene, l’Europa è già irriconoscibile.

Quando un Paese come la Norvegia (ne abbiamo scritto giovedì scorso) dedica un terzo della sua finanziaria a Gaza e al boicottaggio delle aziende israeliane non vien difficile pensare che siamo un continente confuso. Le critiche a Bruxelles, però, sono masochismo accettabile e apprezzabile soltanto se proviene da editorialisti, analisti e intellettuali nostrani. Trump si augura che «l’Europa rimanga europea», rimarca che le radici dell’America sono nel Vecchio mondo, in Gran Bretagna e in Irlanda, e che, poiché «strategicamente e culturalmente vitale», gli Stati Uniti non possono prescindere né da un’Europa forte, che «lavori di concerto con noi per impedire che qualsiasi avversario la domini», né da un rapporto con essa. «Farlo sarebbe controproducente per gli obiettivi di questa strategia», si legge.

In questo senso il testo parla di promozione di un «risveglio dello spirito» europeo e di correzione della traiettoria attuale, pena la perdita delle radici stesse della società americana e di alleati storici e democratici. Bonaria è stata considerata in patria, invece, la sezione dedicata alla «rapida cessazione delle ostilità in Ucraina»: insofferenti fin dall’inizio a una guerra dispendiosa e lontana da casa, i repubblicani vedono da mesi l’inviato speciale Steve Witkoff e il genero del presidente Jared Kushner fare la spola tra funzionari russi e ucraini mentre gli europei criticano a bordo campo. La “pace giusta” che vorrebbe Kiev - il ritiro delle truppe russe da tutti i territori ucraini occupati; un risarcimento russo di decine di miliardi di dollari; il perseguimento di funzionari e soldati russi per crimini di guerra; ferree garanzie di sicurezza occidentali per l'Ucraina – è, nel realismo del Gop e per usare un eufemismo, improbabile. E nell’ambito della condivisione degli oneri della difesa cara all’attuale amministrazione, come a quelle di Biden e di Obama d’altronde, i repubblicani premono perché ciascun alleato sia garante della sicurezza del rispettivo quartiere. Da ultima, la questione economica, a partire dalla Germania sempre più dipendente dalla Cina. È evidente che, nella strategia tutta anti-Pechino di Washington, non è possibile accettare che il capofila tra i Paesi europei venga soggiogato dalla Repubblica Popolare Cinese. Ed è chiaro che Xi Jinping, dopo aver messo entrambi i piedi in Asia e in Africa, stia ora scalzando alle fondamenta anche Berlino, in pieno riarmo. Se dar ragione a Trump garantisce l’ostracismo dai salotti buoni, suggeriamo Jean-Paul Sartre, che nel 1961, nella prefazione ai Dannati della terra di Frantz Fanon, scriveva che l’Europa faceva «acqua da tutte le parti. Cos’è successo? Semplicemente che eravamo i soggetti della storia e adesso ne siamo gli oggetti».

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