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Ferrari, indiscrezione dai piani alti del governo: così il "piano verde" ammazza il Cavallino

Sandro Iacometti
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La buona notizia è che la Lamborghini nei primi sei mesi del 2021 ha consegnato 4.852 vetture. Si tratta, come ha spiegato ieri la società, del miglior semestre di sempre nella storia della casa del toro di Sant' Agata Bolognese, che in termini percentuali rappresenta un balzo del 37% rispetto allo scorso anno e del 6,6% rispetto al 2019. Che le auto di lusso vadano in controtendenza rispetto al resto del mercato, che ancora fatica a recuperare i livelli pre Covid, non è d'altra parte una novità. Qualche settimana fa anche la Ferrari ha chiuso i primi tre mesi con una crescita delle vendite dell'1,2% (rispetto al primo trimestre 2020 toccato solo parzialmente dalla pandemia), un aumento dei ricavi del 10,8% e un portafoglio record di ordini.

 

 

CATTIVA NOTIZIA - La cattiva notizia è che i due marchi storici delle quattroruote, conosciuti in tutto il mondo come il simbolo dell'eccellenza del made in Italy, potrebbero finire a gamba all'aria a causa dell'accelerazione impressa dalla Ue alla transizione ecologica. A dirlo non è un delegato delle case automobilistiche e neanche un irriducibile avversario delle politiche verdi, ma il capo del dicastero che proprio da quella transizione ha mutuato il nome, sostituendolo all'ormai vetusta denominazione di ministero dell'Ambiente. Eh sì, perché Roberto Cingolani, che è un tecnico esperto della materia, con anni di lavoro alle spalle in una delle aziende più innovative del Paese come Leonardo, non è uno che le manda a dire. E da quando ha accettato l'incarico sta cercando di spiegare che la lotta ai cambiamenti climatici non è «un pranzo di gala», né un giochino dove basta spingere un bottone e si diventa tutti verdi come d'incanto, ma un percorso lungo e costoso, che richiederà sacrifici. Tanto più dolorosi quanto più il processo sarà gestito senza tener conto di tutte le ripercussioni. Sembra questo il caso del nuovo piano Fit for 55 presentato un paio di giorni fa a Bruxelles, che prevede da qui al 2035 l'azzeramento del 100% delle emissioni di CO2 per tutte le auto in commercio.

 

 

PRODUZIONI DI NICCHIA - «In questi giorni stiamo parlando con il settore automotive», ha spiegato Cingolani parlando ad un evento organizzato dalla Fondazione Symbola, «ed emerge chiaramente che c'è una grandissima opportunità nell'elettrificazione». Detto questo, ha aggiunto il ministro, «È stato comunicato dalla Commissione Ue che anche le produzioni di nicchia, come Ferrari, Lamborghini, Maserati, McLaren, dovranno adeguarsi al full electric. Questo vuol dire che, a tecnologia costante, con l'assetto costante, la Motor valley la chiudiamo». Intendiamoci, le case automobilistiche, anche quelle di nicchia, ce la stanno mettendo tutta per adeguarsi al nuovo corso e spingere sulla riduzione di emissioni. La Lamborghini, ad esempio, ha promesso di convertire tutta la gamma a listino all'alimentazione ibrida entro il 2024 e la tappa successiva sarà un modello interamente elettrico.

Stesso discorso per la Ferrari. Anche il Cavallino rosso ha promesso per il 2025 la prima supercar a zero emissioni. Ma di qui a convertire tutta la linea di produzione nell'arco di un decennio ce ne passa. Come ha detto Cingolani, «se noi oggi pensassimo di avere una penetrazione del 50% di auto elettriche d'emblée non avremmo neanche le materie prime per farle, né la grid per gestirla. Su un ciclo produttivo di 14 anni, pensare che le nicchie automobilistiche e supersport si riadattino è impensabile».

 

 

Insomma, non è una questione di volontà. E neanche, se vogliamo, di costi. È proprio che i tempi sono materialmente troppo stretti. Per avere un'idea di quello che succederà ai marchi più prestigiosi, ma anche a quelli più comuni, basti pensare che nel primo trimestre in Europa sono state consegnate circa 200mila auto elettriche, che rappresentano neanche il 6% delle immatricolazioni totali. Portare a forza quella percentuale al 100% nell'arco di 14 anni produrrà, per usare un'altra espressione utilizzata ultimamente da Cingolani per far capire il prezzo della transizione, «un bagno di sangue».

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