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Pnrr? Non proprio: così l'Europa continua a succhiarci più quattrini di quanti ne riceviamo

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Attilio Barbieri
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Altro che mantenuti dall'Europa. L'Italia, per lo meno fino al 2020, ha conservato lo status di contributore netto della Ue. Abbiamo versato regolarmente più soldi di quanti ne abbiamo incassati. E nell'ultimo esercizio consolidato, il 2020 appunto, l'ammontare corrisposto alle casse dell'Unione è aumentato ulteriormente. A certificare il fenomeno è la Corte dei Conti, sezione di controllo per gli Affari comunitari, che ieri ha pubblicato la "Relazione annuale 2021" sui rapporti finanziari con la Ue e l'utilizzo dei fondi comunitari. L'ultimo anno analizzato, il 2020, ha fatto registrare versamenti italiani nelle casse Ue per complessivi 18,2 miliardi di euro, in crescita di 1,4 miliardi sul 2019, a fronte di assegnazioni all'Italia di 11,66 miliardi di euro. Dunque, la partita contabile, due ani or sono si è conclusa con uno sbilancio a nostro sfavore di 6 miliardi e mezzo abbondanti. Nel primo anno di pandemia, quando il sistema produttivo tricolore era fermo per le misure di contrasto al diffondersi dei contagi e i "Paesi frugali" guidati dall'Olanda ci accusavano di leggerezza contabile, il dare-avere con Bruxelles si chiudeva con un rosso di 6,5 miliardi. Ma il 2020 ha chiuso un settennato in cui il saldo dei flussi da e per Bruxelles è stato sempre negativo.

 

 

SEMPRE IN ROSSO
Nel 2014 abbiamo ricevuto dalla Ue 10,4 miliardi e ne abbiamo versati 16, 2, con un rosso di 5,8 miliardi. L'anno successivo, il 2015, quando a Milano si svolgeva l'Expo, abbiamo incassato 12 miliardi e ne abbiamo versati a Bruxelles 16,5, con un saldo negativo di 4,5 miliardi. Nel 2016 incassati 11,3 e versati 15,7 (-4,4 miliardi). Nel 2017 incassati 9,5 e versati 13,8 (-4,4 miliardi). Nel 2018 presi 10,1 e dati 17, con un rosso di 6,9 miliardi. Nel 2019, ultimo anno prima della pandemia, abbiamo avuto 11,2 miliardi da Bruxelles e ne abbiamo accreditati 16,8, contabilizzando l'ennesimo sbilancio a favore della Ue: -5,6 miliardi. Alla fine poco importa se, nel 2020, con gli 11,66 miliardi di euro attribuiti dalla Ue all'Italia siamo stati il quarto Paese per ammontare di risorse accreditate da Bruxelles, come rimarca puntualmente la Corte dei Conti. La partita è sempre negativa e lo sbilancio accumulato negli anni, fra versamenti diretti e indiretti porta il rosso, dal 2014 al 2020, a 37,9 miliardi di euro. Certo, con i finanziamenti destinati dalla Ue al Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, la tendenza è destinata a invertirsi nei sette anni successivi che vanno dal 2021 al 2027. Per ora, però, facendo i conti fra somme incassate e somme versate alle casse comunitarie il saldo è fortemente negativo e sfiora i 38 miliardi.

 

 

ANNO DI TRANSIZIONE
Secondo la magistratura contabile, il 2020 è da considerare un anno di transizione: i numerosi strumenti di sostegno Ue alle economie degli Stati membri e l'eccezionale portata del bilancio pluriennale 2021-2027, invertiranno probabilmente la tradizionale posizione di contributore netto dell'Italia, che beneficerà in quota maggioritaria delle risorse del Recovery plan, oltreché dei consueti Fondi di investimento e strutturali europei, come già si può notare dalle stime effettuate sui flussi del 2021. «Questa inversione di tendenza andrà, però, valutata all'esito del programma di investimento legato ai Piani nazionali di ripresa e resilienza», fanno presente i magistrati contabili, «e più in generale alla realizzazione degli strumenti espansivi presenti nel quadro finanziario pluriennale vigente fino al 2027, anche in virtù del mutato paradigma degli interventi europei, orientati a visioni qualitative fondate sul grado di realizzazione dell'obiettivo atteso dall'investimento», più che su quello della «realizzazione dell'investimento» in sé. Se da un lato la pandemia, con gli effetti fortemente negativi sulle economie dei Ventisette, ha indotto le istituzioni Ue a ripensare le regole di spesa della politica di coesione, resta da capire come si concluderà la partita per la riscrittura del Patto di stabilità. Ancora tutta da giocare. Con l'inflazione che torna a mordere i redditi, è possibile che la politica accomodante finisca prima del previsto. Ed è consigliabile aspettare prima di cantare vittoria.

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