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L'Ue faccia i conti con l'identità nazionale: istituzione zoppa

Francesco Carella
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Alain Juppé, qualche anno fa, scrisse che «l'Unione europea è come un grande letto in cui ciascun partner sogna in modo diverso». La prova che l'ex Primo ministro francese avesse visto giusto la si trova nelle scelte che Bruxelles continua ad assumere. Basti solo accennare alle ultime decisioni che vanno dalla direttiva sul salario minimo (si rischia di produrre un abbassamento generale delle retribuzioni) all'embargo petrolifero nei confronti della Russia, per comprendere una verità lapalissiana ovvero che l'originario progetto targato Ue risulta sempre più inadeguato nell'affrontare i nuovi scenari. Facciamo un passo indietro. L'atto di nascita dell'Unione avviene nella notte tra il 10 e l'11 dicembre 1991. Nel febbraio '92, si giunge alla firma del Trattato di Maastricht, progenitore della moneta unica. A tal proposito, vale la pena di ricordare che l'allora ministro del Tesoro, Guido Carli, confidò ai suoi collaboratori di essere soddisfatto per il risultato, ma preoccupato del fatto che «in Italia non vi fosse alcuna consapevolezza sugli effetti che il Trattato avrebbe avuto sulla vita economica e politica del Paese». Ma lo stato di euforia di quei giorni oscurò del tutto le considerazioni dell'ex Governatore della Banca d'Italia.

 

Oggi che quegli effetti, perlopiù negativi, si sono ampiamente dispiegati sarebbe opportuno riflettere sui vizi di fondo di quel progetto. Gli osservatori più attenti indicano nella «scorciatoia economicistica» il vero passo falso compiuto in quegli anni. Del resto, salvo rare eccezioni, furono in tanti ad avere creduto che una volta dato il via ai processi economico-finanziari l'unità politica sarebbe arrivata come d'incanto. Avere ignorato la storia del Vecchio Continente segnata dallo sviluppo dello Stato nazione - inteso nella sua articolazione normativa, ma soprattutto nella sua dimensione culturale e simbolica - si è rivelato un errore clamoroso. Infatti, non è un caso che i problemi interni all'Ue esplodono allorquando al progetto viene impressa una notevole accelerazione per mezzo di scelte che vanno dall'Atto unico europeo ai Trattati di Maastricht e Amsterdam, per culminare nell'adozione della moneta unica. È qui il vero tallone di Achille dell'Unione: un'entità senza Stato e senza nazione. Ora ci si trova a un punto di svolta.

 

«Occorre chiarire - come ha scritto il politologo Yves Mény - se l'Ue vuole continuare ad essere una semplice agenzia di servizi che consente la circolazione di merci e capitali, oppure se intende diventare adulta scegliendo la strada della democrazia. In tal caso, i cittadini vanno collocati al centro dell'edificio europeo». È giunto il momento di fare i conti con quel nervo sensibile chiamato identità nazionale, ossia con quell'universo fatto di solidarietà, lingua e tradizioni che si esprime, per dirla con Ernest Renan, «attraverso il desiderio tangibile di vivere insieme». Si tratta di un percorso obbligatorio, ancorché lungo, difficile e dal risultato non scontato, se si vuole davvero giungere alla costruzione di una casa europea comune che non disconosca le specificità storiche dei singoli Stati. In tal senso, i segnali che giungono da Bruxelles sono tutt' altro che incoraggianti.

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