Come stanno le cose

FdI e Vox, l'idea di un'altra Ue: perché i mandarini di Bruxelles hanno paura

Corrado Ocone

A Vox, il partito di Santiago Abascal, tocca la stessa sorte che i giornali progressisti riservano a Fratelli d'Italia. Vengono presentati come «ultradestra», «filofranchisti», e chi più ne ha più ne metta, ma in verità si tratta di un partito nato da una costola dei popolari a cui veniva imputato di essere troppo acquiescenti con la mentalità secolarista che è propria della sinistra. È forse anche per questo, e non solo per l'appartenenza allo stesso gruppo in seno al Parlamento europeo, che Giorgia Meloni tiene molto a esprimere sempre solidarietà agli omologhi spagnoli.

 

Se la volta scorsa, in un discorso tenuto in Andalusia, aveva insistito sui comuni valori cristiani, ora ha slargato il suo discorso chiamando direttamente in causa altri partiti conservatori europei e dicendo che si ispirerà alle pratiche di governo già sperimentate in Polonia e nella Repubblica ceca. Cecoslovacchia.

Non aggiungendo significativamente l'Ungheria e dando quindi per superato l'asse di Visegrad. In questo modo viene non solo a delinearsi con più precisione la linea di azione del governo che Meloni presiederà, ma anche un più ambizioso progetto politico di livello continentale. Lungi dall'essere un progetto autarchico e isolazionista, volto per di più a smantellare l'Unione Europea, come la sinistra lo dipinge parlando senza tema del ridicolo di un «nuovo fascismo», quello della Meloni si proporrà semplicemente di provare a dire che un'altra Europa è possibile. O almeno un'Europa in cui, dopo aver portato i partiti cristiani nella propria area, la componente progressista non si erga a unica ed escludente ideologia di riferimento, cioè a "pensiero unico", ma accetti di confrontarsi in un libero agone con altre e più tradizionali culture politiche del nostro continente. Altro che antieuropeismo!

BASTA SERIE A E SERIE B
Forse nessun governo come il prossimo avrà un orizzonte di riferimento europeo, consapevole che i problemi oggi si risolvono anche a Bruxelles ma auspicabilmente in un contesto migliore in non esistano più popoli e nazioni di serie A e serie B. Ove queste ultime sono rappresentate sia da un Paese fondatore come il nostro sia da Paesi come quelli che, vissuti per troppi anni sotto l'orbita del totalitarismo sovietico, seguitiamo a definire "dell'est" pur essendo storicamente, come ci ricorda Milan Kundera, Europa a tutti gli effetti (ne sono anzi per molti versi il centro geografico e ideale).

 

Un'Europa che perciò non può nemmeno assumere un atteggiamento di ostilità verso quella sua appendice cresciuta oltre Atlantico e soprattutto verso l'alleanza militare che la lega ad essa. Un progetto senza dubbio ambizioso e che sicuramente avrà bisogno di tempo e prudenza per realizzarsi. L'appello della Meloni al realismo suona anche come una critica all'attuale Commissione, che nella tradizione della sinistra si è proposta progetti astratti e palingenetici, come la transizione ecologica a tappe forzate, che rischiano di sortire pochi effetti ma lasciando sul terreno vittime e feriti. Chi sono allora veramente "pericolosi" i conservatori-realisti o i progressisti? Non sappiamo se il nuovo governo riuscirà anche solo in parte a realizzare questi obiettivi. Sappiamo però che esso potrebbe segnare una svolta nei poteri europei. Ed è per ciò, non per altro, che fa paura ai "mandarini" di Bruxelles.