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Massimo Cacciari, l'amarezza umana: "Una lunga storia di sconfitte". Intervistato, la confessione dolorosa

di Giulio Bucchi venerdì 31 agosto 2018

2' di lettura

"Io oggi sono un professore di filosofia in pensione. Punto e basta". Massimo Cacciari parla di Sessantotto con il Corriere della Sera e già dal rifiuto di etichette "classiche" ("Ex sindaco di Venezia, ex parlamentare, ex quell'altro...") si intuisce la sua delusione politica e umana. Protagonista della rivoluzione culturale italiana, con una famosissima foto da barricadero movimentista alla XXXIV Biennale di Venezia (la "Biennale Poliziotta", come venne definita dai sessantottini), Cacciari ricorda con nostalgia quella "forte richiesta di cambiamento anche nel mondo della cultura. E non solo a sinistra: ricordo che ce n'erano alcuni dell'estrema destra che condividevano completamente l'esigenza di una rivoluzione culturale". "Ci fu una rottura generazionale, mai più registrata così profonda", sottolinea cercando di motivare i ritardi e le difficoltà di comunicazione dei giovani con Dc e Pci. GUARDA IL VIDEO - "Un pezzo di m***". Cacciari perde la testa in diretta da Parenzo "Ci fu chi, come me - rivendica -, tentò di rivolgersi ai partiti tradizionali spingendoli a decifrare ciò che avveniva nel movimento operaio e in quello studentesco perché temeva che una frattura avrebbe portato a guai formidabili e tragici, come poi purtroppo avvenne". "Purtroppo, nel 1969 con l'orrore di piazza Fontana vedemmo quanto fossero ancora potenti le forze che si opponevano al cambiamento. E la tragica morte di Moro, nel 1978, mostrò a che punto invece arrivarono coloro (tra i post-sessantottini, ndr) che puntavano alle estreme conseguenze". La domanda fatidica, "cosa resta nel Cacciari di oggi del Cacciari di allora", lascia posto all'amarezza: "La penso esattamente come allora. Ma lasciamo stare, è una lunga storia di sconfitte...".

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