Appalti ad alta intensità di manodopera e criteri di aggiudicazione. Alcune considerazioni in attesa della Corte di Giustizia Ue
“Negli ultimi anni, è noto, sono sensibilmente aumentate le imprese che affidano a soggetti esterni una o più fasi del ciclo produttivo. In questa tendenza di carattere generale verso l’esternalizzazione, si inserisce anche il cosiddetto l’outsourcing attraverso il quale si affidano “all’esterno” prestazioni in cui la forza lavoro prevale sugli altri fattori produttivi”, spiega l’Avvocato Paolo Bello, Deputy Managing Partner Deloitte Legal.
Il modello incontra un notevole successo in vari settori – dalla logistica alla grande distribuzione organizzata – accomunati dall’impiego di un massivo numero di lavoratori. Al contempo, tuttavia, sotto il profilo legale porta con sé rischi e criticità non trascurabili. Non è un caso, quindi, che l’Ispettorato Nazionale del Lavoro e, recentemente, anche alcune Procure abbiano iniziato a verificare se le operazioni di esternalizzazione siano, sotto il profilo giuslavoristico, legittime o se, invece, dietro lo schermo della stipula di contratti di appalto di servizi si celino ipotesi di somministrazione fraudolenta di manodopera. Il tema, in estrema sintesi, accende i riflettori, in termini più ampi, sulla tutela dei lavoratori e sulla questione dei c.d. appalti intensive labour nei quali il costo della manodopera è pari o superiore al 50% del corrispettivo.
“Per quanto attiene i contratti pubblici – continua l’Avvocato Bello - già il codice del 2016 disciplinava le ipotesi di appalti ad alta intensità di manodopera, apprestando particolari tutele per i lavoratori. Il codice del 2023 è intervenuto in maniera ancora più organica, ponendo limiti e regole a tutela dei lavoratori coinvolti in queste peculiari tipologie di appalti. Perseguendo l’obiettivo di salvaguardare i lavoratori, infatti, il Codice prevede lo scorporo dei costi di manodopera e sicurezza dall’importo soggetto a ribasso; il divieto di subappaltare l’esecuzione delle lavorazioni oltre il limite del 50% del contratto; l’obbligo di adesione al CCNL di riferimento e di adottare in via quasi esclusiva il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa”.
La ratio, quindi, è proprio quella di evitare che, direttamente o indirettamente, negli appalti pubblici si creino spazi che consentano all’operatore economico di realizzare un lucro derivante dal mancato rispetto delle garanzie previste in favore dei lavoratori.
“Sebbene la finalità perseguita sia del tutto condivisibile e ispirata ai principi costituzionali, - precisa il Deputy Managing Partner di Deloitte Legal - gli interventi legislativi che si sono succeduti sul tema hanno suscitato alcune perplessità principalmente riconducibili al mero rispetto formale della disciplina di riferimento. In particolare, uno dei temi più discussi – e che appare ancora di stretta attualità – è quello del criterio di aggiudicazione per gli appalti che presentino sia caratteristiche dell’alta intensità di manodopera, sia caratteristiche standardizzate. Come ha chiarito il Consiglio di Stato, l’appalto standardizzato è quel servizio nel quale la lex specialis (dunque, il bando) delinea puntualmente tutti gli elementi del servizio, dall’organizzazione concreta del lavoro alle prestazioni dovute, tanto da non lasciare margini di definizione in capo all’operatore economico, tra cui il costo della manodopera”.
Sino a tempi molto recenti, la giurisprudenza ha ripetutamente escluso la possibilità di utilizzare criteri di aggiudicazione diversi da quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, anche qualora l’appalto, seppur intensive labour, presenti caratteristiche standardizzate, ossia non abbia incidenza rispetto al costo della manodopera ed alle conseguenti garanzie per il lavoratore.
Ma in simili ipotesi, la qualificazione dell’appalto come “ad alta intensità di manodopera” può ritenersi una ragione sufficiente per vietare l’utilizzo di criteri diversi da quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa? “È possibile che la rigidità di una previsione simile - chiarisce l’Avvocato Bello - pur tutelando i lavoratori, finisca per minacciare alcuni principi del nostro ordinamento quali i principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi? Si tratta di profili problematici di non agevole soluzione e, pertanto, il Consiglio di Stato (sez. V, ordinanza, 5 dicembre 2023, n. 10530) ha avvertito l’esigenza di investire della questione la Corte di Giustizia dell’Unione europea”.
La partita, quindi, è ancora aperta nell’attesa della soluzione che vorrà offrire la Corte. Resta fermo, però, il dato giuridico: nelle procedure pubbliche il tema della tutela dei lavoratori negli appalti labour intensive assume certamente peculiarità tali da indurre, sia le stazioni appaltanti sia gli operatori economici, a particolari cautele.
Nella foto: Francesco P. Bello Deputy Managing Partner e Head of Public Admin Law Deloitte Legal