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Giustizia, l'affondo di Marta Fascina: "Traditori in Forza Italia, andate a casa". Il pugno di ferro di lady Berlusconi

Renato Farina
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Prima parte piano, con un tono lieve, persino spiritoso. Dicono sarà così anche la tromba del giudizio, inizio flautato. Poi patapum! Fatto sta che dal cielo sereno sopra Arcore è partita una saetta tonitruante e si è piantata in mezzo a Montecitorio per fulminare i traditori. «Recenti episodi di cronaca parlamentare ci forniscono uno spaccato della politica che ci rende poco "onorevoli"». Quindi la folgore incenerisce coloro che «tradendo il mandato elettorale» hanno partecipato ai festini del «giustizialismo populista e manettaro». Se credono che un partito sia un taxi, li sbattiamo fuori. Sia «bandito il tradimento», siano cacciati dal Parlamento. Non è folklore, è una scomunica politica. Anticipiamo le conseguenze. Con Toti (lui, proprio lui, ha colpito sotto la cintura il proprio mentore!) e con quelli di Brugnaro di Coraggio Italia! La festa appena cominciata è già finita: fuori! La mano che la scaglia la folgore, chiariamo, non è quella di Zeus-Berlusconi, ma siamo lì. La firma è infatti della donna - figlia Marina a parte - a lui più vicina, Marta Fascina, deputata di Forza Italia, e da qualche anno sua compagna di vita. La lettera recapitata alle agenzie porta l'impronta stupefatta e furibonda del fondatore del centrodestra. Se le parole sono pietre, queste sono cubetti di porfido: sfondano qualsiasi tentativo di giustificazione. Il caso è serio insomma, come sempre sono le questioni ideali quando si mescolano esplosivamente con l'offesa intima alla persona.

Madre di tutte le battaglie

Il Cavaliere ha deciso di tagliar fuori adesso e sempre chiunque è stato eletto nelle file della lista che porta il suo nome, e, sul tema cardine della libertà e dei diritti, si schiera con i giustizialisti, girando le spalle non solo alla sua persona (che pure è la preda prediletta dei forcaioli dal 1994 all'eternità) ma alle convinzioni profonde degli elettori di Forza Italia. I quali su un punto di sicuro sono unanimi: nel ritenere madre di tutte le battaglie quella per la giustizia. Chiunque abbia votato per Berlusconi ha la certezza granitica che la magistratura politicizzata in combutta con la sinistra ha condotto contro Silvio la «guerra dei vent' anni» (anzi ormai 27) e organizzato i «quattro golpe» per abbatterlo. Persino tra i parlamentari che negli anni hanno cambiato casacca finora mai nessuno aveva osato ribaltare questo articolo di fede politica, votando in aula o in commissione per spintonare verso il boia chi (Berlusconi, ovvio) ne aveva determinato l'elezione a parlamentare. Sulla giustizia nessun transfuga gli aveva infilato il coltello tra le costole. Stavolta sì.

 

 

 

Il patatrac

Il patatrac raccontato dalla Fascina è accaduto martedì in commissione Giustizia della Camera. Lì erano in discussione gli emendamenti alla Riforma Cartabia. La strategia concordata nel centrodestra (stavolta con FdI d'accordo) era di allargare il perimetro del garantismo, così da contrapporsi alla spinta giustizialista del M55 che, appoggiato dal Pd e dalla magistratura militante, è in trattativa con Draghi per depotenziare la nuova prescrizione. Un emendamento tra quelli di Forza Italia era assai importante: ridisegnava il reato di abuso d'ufficio cambiando la definizione di pubblico ufficiale. Non soltanto il centrodestra ha da sempre giudicato questa fattispecie di crimine una trappola usata dalla magistratura per farci cadere la politica, atti e fatti plasmabili a capocchia dai pm per schiacciare sindaci e rappresentanti delle istituzioni. Hanno chiesto questi cambiamenti anche molti primi cittadini del Partito democratico. A sinistra (Cinque Stelle compresi) l'occasione era troppo ghiotta: si è fatto passare questo emendamento come una specie di regalo a Berlusconi. Ha prevalso il solito odio. Prima del voto l'esito era incerto. Sulla carta l'emendamento non sarebbe passato, stante il pareggio preventivato: 22 contro 22, contando i presenti. Magari - com' è capitato - poteva esserci il soprassalto di coscienza di un dem. Figuriamoci. Comunque avrebbe obbligato a una presa di coscienza forte Draghi, e dato la misura della forza. Ma «sorprendentemente», scrive Marta Fascina, alcuni si sono schierati dalla parte dei forcaioli. E così la votazione ha visto la vittoria per distacco e per tradimento di 25 contro 19, con un astenuto.

La conta dei voti

Tra i contrari la «traditrice» Giusi Bartoloni, che ha abbandonato FI ed è passata al Misto (è magistrato in Sicilia); Martina Parisse, che ha obbedito al capogruppo Marco Marin (ex azzurro) di «Coraggio Italia!» a sua volta istruito da Giovanni Toti. Anche Enrico Costa di «Azione» (già FI), garantista a tutto tondo, ha girato la bandiera. Il motivo appare nobile: non rimandare con queste modifiche la riforma, perdendo i miliardi del Pnrr. Ma lì c'era in ballo qualcosa di simbolico, una battaglia di bandiera che impone di non passare dall'altra parte. Invece... Le conseguenze? Già era difficile, ma oggi diventa impensabile che possa configurarsi un'alleanza con Toti e Brugnaro, più complicata la posizione di «Noi per l'Italia» dei centristi di Maurizio Lupi. Di certo Giuseppe Conte da questa contesa esce come un gigante di tattica politica. Il colmo. Ovvio che Silvio & Marta abbiano saettato dall'Olimpo. 

 

 

 

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