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Giovanni Polizzi, il pm di Milano che fa "vittime" solo nel centrodestra

Paolo Ferrari
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Il suo nome è Giovanni Polizzi ed ha cinquant' anni. È lui il pm della procura di Milano che da tempo, per una assai curiosa coincidenza, sta mettendo sotto tiro la maggior parte degli esponenti politici del centrodestra eletti nel capoluogo lombardo. L'ultimo caso riguarda l'europarlamentare di Fratelli d'Italia Carlo Fidanza, indagato la scorsa settimana per corruzione. Secondo il magistrato, Fidanza, legato politicamente ad Ignazio La Russa, avrebbe fatto dimettere un consigliere comunale di Brescia in cambio dell'assunzione del figlio diciottenne presso la propria segreteria politica con il ruolo di assistente. Le dimissioni avevano consentito in questo modo di far entrare in consiglio comunale un fedelissimo dell'europarlamentare.

Qualche settimana prima, nel mirino di Polizzi era finito invece Paolo Bianchi (Fd'I), attuale vice sindaco di Mediglia (Mi), dopo esserne stato sindaco per due mandati. Anche in questo caso l'accusa è corruzione per la gestione di alcuni appalti pubblici. E prima ancora, lo scorso autunno, era stato il turno dell'europarlamentare della Lega Angelo Ciocca, del consigliere regionale lombardo Massimiliano Bastoni, anch' egli della Lega, della consigliera comunale milanese di FdI Chiara Valcepina. Nei loro confronti Polizzi aveva ipotizzato l'accusa di finanziamento illecito e riciclaggio.

 

 


Se queste indagini, partite come nelle migliori tradizioni con grande clamore mediatico, sono ancora nelle fasi preliminari e non si possono quindi fare previsioni sui tempi di definizione, la maxi inchiesta di Polizzi che ha riguardato Mario Mantovani, ex assessore forzista alla sanità nonché vice presidente della regione Lombardia, ed il leghista Massimo Garavaglia, ex assessore regionale al bilancio e attuale vice ministro dell'Economia del governo Draghi, si è conclusa a marzo con l'assoluzione piena per entrambi. L'inchiesta, esplosa nel 2015, era stata subito battezzata come la "nuova tangentopoli" ed aveva rischiato per un momento di far cadere la giunta regionale allora retta da Roberto Maroni (Lega). Mantovani e Garavaglia erano accusati, in particolare, di turbativa d'asta, per aver tentato di far annullare una gara per il trasporto dei disabili in favore di una associazione di volontariato operante nell'Alto Milanese. Mantovani, che era anche accusato di corruzione e corruzione, era stato addirittura arrestato e, dopo aver trascorso un mese e mezzo a San Vittore, si era fatto quasi cinque mesi di domiciliari. Le indagini vennero condotte dalla Guardia di finanza senza badare a spese. Oltre ad intercettazioni telefoniche ed ambientali come se piovesse, le Fiamme Gialle dotarono le proprie auto civetta con cui pedinavano Mantovani di microfoni spia super sensibili e telecamere ad infrarossi, inserite nei fari, per registrare anche le sue conversazioni quando si intratteneva al bar sotto il Pirellone con gli amici.

 

 

 


L'allora governatore Maroni, rispondendo ai grillini che inneggiavano ai pm, disse che «non risultano tangenti pagate per la sanità in Lombardia e che si trattava di un attacco politico». «Qualche giudice si è alzato male», aveva detto invece Matteo Salvini. «Ce l'hanno con la regione meglio governata d'Italia magari per nascondere i problemi del Pd: la Lombardia l'anno scorso ha curato un milione e mezzo di persone, e centinaia di migliaia di italiani di altre regioni, per un miliardo di euro», aggiunse quindi Salvini, replicando a chi accusava il sistema sanitario lombardo di essere gestito da corrotti e tangentisti. Ad assistere Mantovani, noto per aver organizzato sotto il palazzo di giustizia di Milano i banchetti in solidarietà di Silvio Berlusconi ai tempi del processo Ruby, l'avvocato Roberto Lassini che ha dovuto destreggiarsi in un fascicolo di oltre 200mila pagine. «Fare il politico è pericoloso. Molto pericoloso. Bisogna stare particolarmente attenti, soprattutto se uno è di centrodestra e si trova sotto il tiro di certe procure. Purtroppo la realtà è questa ed è inutile nascondersi dietro un dito», il laconico commento di Mantovani il giorno dell'assoluzione. Tornando, comunque, a Polizzi, non si può non ricordare in questa carrellata un'altra sua indagine di punta, quella che coinvolse l'ex ministro dell'Economia Giulio Tremonti. Il professore originario di Sondrio era stato accusato dal pm di aver preso una maxi tangente di 2,4 milioni per il suo studio tributarista da parte di Finmeccanica, controllata dal Tesoro, in cambio di vantaggi. L'indagine, per la cronaca, si era conclusa in un nulla di fatto. 

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