Cerca
Cerca
+

Giovanni Toti, libertà negata? Il Csm apre un fascicolo

Giovanni Toti

Pietro Senaldi
  • a
  • a
  • a

Fermi tutti, esiste un giudice. Non a Genova, ci mancherebbe, ma almeno sulla questione di Genova. Anzi, i giudici sono ben due. Si tratta del procuratore generale, Luigi Salvato, della corrente Unicost, e di Margherita Cassano, prima presidente in Cassazione. Fanno parte, con il vicepresidente del Csm, l’avvocato Fabio Pinelli, dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio Superiore della Magistratura, che ieri ha accolto la richiesta delle consigliere laiche Isabella Bertolini (eletta in quota Forza Italia) e Claudia Eccher (Lega) di aprire un fascicolo nei confronti dei membri del Tribunale del Riesame di Genova che hanno firmato l’ordinanza con la quale respingeva la richiesta di Giovanni Toti di revoca degli arresti domiciliari.

«Una decisione motivata in modo abnorme e illogico, al punto da richiedere l’apertura di una pratica per verificare se sussistono, a carico dei magistrati che l’hanno emessa, profili di illecito disciplinare» hanno scritto le consigliere. Tanto è bastato per riuscire a convincere i vertici dell’organo costituzionale a mandare il fascicolo alla Procura Generale, diretta dallo stesso Salvato, che è chiamata a decidere.

 

 

 

IL PERCORSO

I giudici genovesi del Riesame rischiano da un’ammonizione all’apertura di un vero e proprio procedimento disciplinare nei loro confronti, che in teoria si potrebbe anche concludere con una sospensione a tempo. Non è naturalmente in discussione il merito della decisione, che resta tra le prerogative del magistrato del Riesame. Sono i modi, i toni, la maniera apodittica e le contorsioni a cui viene sottoposto il diritto per arrivare al rifiuto che saranno oggetto dell’esame della Procura Generale. Sono i ragionamenti cervellotici, addirittura metagiuridici, che hanno fatto dire in Parlamento al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che «di quelle motivazioni non si capisce nulla, sono più oscure di un trattato di filosofia».

Parole gravi, che fanno pensare che la verifica del comportamento dei magistrati liguri non si fermerà alla Procura generale ma potrebbe accompagnarsi a un’indagine ministeriale, che interessi non solo il Tribunale del Riesame, ma anche l’Ufficio del Giudice Preliminare e la Procura di Genova.

CONTESTAZIONI

Ma tornando alle contestazioni del Csm ai giudici del Riesame, le consigliere lamentano che le motivazioni dell’ordinanza di conferma degli arresti si sarebbero spinte oltre i limiti del diritto, che sono quelli a cui un giudice, per dovere costituzionale, deve sottostare.

Desta ancora scalpore l’argomentazione in base alla quale Toti deve rimanere agli arresti perché il fatto che si protesti innocente e neghi di aver commesso reati sarebbe la prova che, se lasciato libero, potrebbe delinquere in quanto «non in grado di distinguere tra ciò che è lecito e ciò che non lo è». Un assurdo giuridico vergato dal giudice, una condanna preventiva di comportamenti mai avvenuti sulla base di azioni precedenti che i pm ritengono illecite ma che nessuna sentenza ha riconosciuto come tali. Ancora più assurdo, il fatto che il presupposto della continuazione del reato, fondamentale per confermare gli arresti, non posi sui singoli fatti contestati (corruzione elettorale, proroga della concessione del Terminal Rinfuse, cambio di destinazione di parte della spiaggia di Celle Ligure) ma su una supposta attitudine dell’indagato, incensurato, a violare la legge, se lasciato governare come richiesto dagli elettori.

 

 

 

SOTTO ACCUSA

A muovere l’azione delle consigliere del Csm è stata, oltre la parte della motivazione nella quale in sostanza il magistrato dà a Toti dell’incapace di intendere e volere, il passaggio in cui viene rimproverato al governatore di ammettere i fatti contestatigli ma di non giudicarli penalmente rilevanti. «Il presidente introduce una speciosa distinzione tra fatto e diritto» scrivono i giudici del Riesame, biasimandolo perché non accogliere la valutazione giuridica che la Procura ha dato dei suoi comportamenti come reati. Ma la condivisione delle idee dell’accusa non è un dovere dell’indagato, che ha invece il diritto di difendersi e, se lo fa, questo non può essergli imputato come una colpa. Di questo si dovrà occupare la Procura Generale, che presenta un gran vantaggio per Toti: sta a Roma e non a Genova.

 

 

 

Dai blog