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Ramy, se anche di fronte alla perizia a sinistra c'è chi infanga i carabinieri

di Gianluigi Paragone sabato 15 marzo 2025

3' di lettura

Ci voleva una perizia per mettere a tacere i dubbi e le ricostruzioni ideologiche: non ci fu alcuno speronamento da parte dei carabinieri ai danni dei due ragazzi che scapparono ad un controllo, uno dei quali - Ramy - perse la vita. Di più: non emerge mai alcuna intenzione di speronare il veicolo in fuga o di farlo cadere. Nei mesi dalla morte del diciannovenne mi è capitato di partecipare a diverse trasmissioni e ascoltare le tesi più strane, mi verrebbe da dire persino più azzardate, finalizzate a colpevolizzare o a minare la professionalità di chi ogni giorno deve prendere le misure alla criminalità, piccola e grande. «Ce l’hanno con noi» dicevano gli amici di Ramy davanti alle telecamere. «Ce l’hanno con loro, c’è un certo pregiudizio» rintuzzavano da sinistra. Come se carabinieri e agenti si divertano a rischiare le vite, le proprie e degli altri, e non a garantire quella sicurezza minata da criminali, teppisti e balordi.

Più volte ho visto e ho commentato la fuga. Più volte abbiamo visto nelle immagini la corsa spericolata condotta per otto chilometri da Fares a bordo del suo Tmax, portato a velocità elevate in strada, imboccando vie contromano e facendo il pelo a vetture in movimento, salendo persino sui marciapiedi incurante del fatto che lì potessero passare delle persone. E la gazzella dei carabinieri dietro, a inseguire perché era giusto farlo, ma sempre nel rispetto delle procedure. «Dovevano lasciarli andare e fotografare la targa», ho pure sentito dire da esponenti di sinistra e del Pd. Persino il sindaco Sala si è avventurato in strane iperboli lessicali che finivano... contromano, quasi a voler mettere gli agenti nella cerchia dei cattivi. Mi stupisce che finanche adesso che i periti hanno stabilito la correttezza dei carabinieri e sul rispetto delle procedure previste in caso d’inseguimento, tanto da poter affermare che Ramy non fosse sbalzato dallo scooter a seguito di un contatto con l’auto degli agenti (tra l’altro perdendo il casco non allacciato), persino adesso c’è chi continua a sostenere che le forze dell’ordine «non dovevano inseguirli», che «non si fa così» e che «sono ben altre le situazioni dove dovrebbero intervenire».

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Insomma ce ne sarebbe sempre una. Allora mi domando, perché? Faccio fatica a trovare delle risposte che abbiano un senso; pertanto la sola risposta è che ci sono abbondanti platee nel centrosinistra che malvedono carabinieri e polizia, che li vorrebbero neutralizzare perché comunque «ne approfittano della forza». E giù con i soliti casi - che pur ci sono stati e che nessuno ha né giustificato né coperto- di azioni sbagliate. Alla fine però bisogna scegliere da che parte stare perché nella competizione tra guardie e ladri, sono i ladri a non dover essere armati, a non dover commettere violenza e a non scappare se fermati. Se cominciamo con il gioco delle sottrazioni allora stiamo già perdendo. Col passare degli anni il tema della sicurezza si è spostato dalla periferia in centro, contando su un reclutamento contagioso come se il male avesse più fascino del bene. Del resto lo vediamo anche in televisione dove le serie con i cattivi protagonisti fanno ascolto; ma ancor più lo vediamo con pericolosi videogame dove più si è cattivi e più si fa denso il processo di personificazione con il protagonista. Il poliziotto diventa sfigato, il criminale un figo che si sceglie come «io giocante».

Ramy è diventato il pretesto per trasformare Corvetto in un luogo di scontro, fare casino, incendiare i cassonetti e prendersela con i carabinieri o i poliziotti. Invece a uccidere Ramy è stata una fuga tipo quelle che si fanno nei videogiochi dove quando il protagonista muore puoi avviare una nuova partita.
Stavolta no. E non per colpa dei carabinieri.

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