“Compagni, compagni! Serrate le fila! Compagni...”. A sinistra è già in corso lo psicodramma per il referendum confermativo che nella prossima primavera potrebbe dare il via libera alla riforma della Giustizia approvata dal Parlamento. Dal Partito democratico all’Associazione Nazionale Magistrati, passando per Cinquestelle e Bonelli-Fratoianni-Salis vari, tutti sono già in campo pancia a terra per provare a trasformare la riforma Nordio in tutto il contrario di ciò che è realmente.
Ma, al netto degli sforzi del fronte magistrato-progressista di opporsi in ogni modo all’approvazione della legge (chi per interessi che potremmo definire corporativisti, chi per interessi meramente politici che seguono la sempreverde dottrina del “tanto peggio tanto meglio”), vanno moltiplicandosi sempre più le voci fuori dal coro. Seri problemi di “ammutinamento” li sta incontrando il Pd. Non sono solo esponenti dell’ala opposta alla fazione di Elly Schlein a esprimere dei dubbi. Goffredo Bettini, storico dirigente dem, si è schierato a favore della riforma che sancirà la separazione delle carriere delle toghe: «Ritengo possa rappresentare un passo importante, persino doveroso, nella direzione di una maggiore terzietà del giudice. Non per sfiducia nei confronti della magistratura.
Non per una deriva populista o vendicativa. Ma per un’idea di giustizia che non rinunci mai a dubitare di sé, che riconosca nella fragilità dell’imputato – spesso solo, spesso smarrito – una parte imprescindibile della democrazia», ha scritto sulle pagine del Foglio per chiarire la sua posizione in dissenso dalla linea del partito. È stato lo stesso Bettini a spiegare come la separazione «non è una bandiera ideologica» ma, al contrario, «un modo per rafforzare la fiducia nella giustizia, restituendo dignità tanto al giudice quanto all’imputato».
In area dem, un altro nome pesante che si è detto favorevole alla riforma Nordio è il governatore uscente della Campania, Vincenzo De Luca. «Probabile che voterò sì alla separazione delle carriere, anche se sappiamo benissimo che sono oggi pochissimi i magistrati che da pm vanno a fare i giudici, e viceversa», è stato il suo annuncio a sorpresa di qualche settimana fa che ha fatto trasalire (per l’ennesima volta negli ultimi mesi, ndr) la Schlein. «Ma noi ha poi proseguito lo sceriffo di Salerno - abbiamo commesso gravi errori con gli abusi di certa magistratura, e lo sapevo che sarebbe finita così». Insomma, caro Pd e cara Anm, dovevate aspettarvelo.
A evidenziare tutte le contraddizioni interne alla sinistra sulla riforma è l’ex senatore di Pci e Pds Claudio Petruccioli che ricorda i tempi della Bicamerale D’Alema: «Io, con altri senatori del Pds, firmai l’emendamento perla separazione delle carriere». Non solo, dato che agli atti ci sono anche quelli che prevedevano «la divisione in due sezioni del Consiglio superiore della magistratura». Cambiamenti che, evidenzia al Foglio Petruccioli, «consideravamo tecnicamente e giuridicamente inevitabili rispetto al sistema processuale che era stato adottato. Anche per questo, nel rispetto delle sue storiche convinzioni, voterà sì al referendum. Una partita, quella referendaria, «che il Pd vuole usare per far cadere Meloni».
Chi fa parte del campo largo, ma ha annunciato di essere schierata per il sì al referendum è +Europa. Emma Bonino già suona la carica: «La separazione delle carriere è sempre stata una battaglia di Marco Pannella, voterò sì». Dal partito ultra europeista, a dare la linea è il presidente Matteo Hallissey che bastona la sinistra: «A chi oggi attacca questa riforma credendo di colpire il Governo, voglio dire una cosa semplice: dove eravate finora? Per anni molti di voi hanno avuto il potere e l’occasione di cambiare la giustizia, di renderla più giusta, più umana, più vicina ai cittadini e meno sottomessa alle caste del potere togato. E non avete fatto nulla», ha scritto sui suoi social. Poi l’invito al campo progressista: «Ora il minimo è non regalare alla destra il monopolio di una battaglia che è davvero di tutti». Chissà se al Nazareno lo ascolterà qualcuno...
Ma il vero nome che spaventa il fronte del no è quello di Antonio Di Pietro. Magistrato simbolo di Mani Pulite, colonna dell’anti-berlusconismo negli anni duemila, ora è sceso in campo in difesa di quella riforma tanto agognata dal Cavaliere. «La vera ragione per cui l’Associazione nazionale magistrati si oppone è una: la riforma prevede la costituzione dell’Alta Corte di Giustizia e il sorteggio», ha spiegato l’ex pm. «Con l’istituzione dell’Alta Corte, si toglie al Consiglio superiore della magistratura il potere vero: quello di giudicare per sé stessi, per gli stessi magistrati».
Netto l’affondo contro la posizione dell’Anm: «Accusare questa riforma di voler intaccare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura è una critica costruita appositamente per indurre il cittadino a votare “no”. L’Anm sposta l’attenzione su un paventato rischio di subordinazione del potere indipendente al potere esecutivo che non esiste».
Più chiaro di così. Insomma compagni, se ve lo dicono pure loro...