Antonio Gustapane, Procuratore capo presso la Procura della Repubblica di Varese e autore di numerosi saggi sull’ordinamento giudiziario, analizza con Libero gli effetti della riforma sulla separazione delle carriere.
Da magistrato valuta questa riforma necessaria?
«Da giurista ritengo non contestabile che la separazione delle carriere della magistratura ordinaria introdotta dalla riforma Meloni/Nordio, nel rispetto del programma politico presentato alle elezioni politiche del settembre 2022 dalla coalizione di centrodestra, sia il logico completamento del modello accusatorio, introdotto dal codice di procedura penale “Vassalli” nel 1988 e costituzionalizzato nel 1999 con la modifica dell’art. 111 Cost. Per meglio garantire l’inviolabile diritto di difesa dei cittadini ex art. 24 Cost., il processo accusatorio si fonda sulla netta distinzione, funzionale ed organizzativa, tra il Giudice, terzo ed imparziale, e Pm, parte pubblica imparziale, così da prevenire qualsiasi forma di inframmettenza tra i due soggetti processuali che invece potrebbe derivare dall’opposta soluzione di far rivestire le due diverse funzioni giudiziarie da magistrati appartenenti ad un’unica magistratura governata in modo unitario con conseguenti condizionamenti reciproci».
L’Anm vede uno stravolgimento della Costituzione, quant’è solido questo argomento?
«Trovo eccessivo l’allarme lanciato dall’Anm, perché la riforma, nel separare le carriere dei magistrati, non incide in alcun modo né sulla terzietà e l’imparzialità del Giudice né sulla autonomia e l’indipendenza del Pm, che sono invece rafforzate dalla previsione di due diversi Csm ognuno dei quali amministra la carriera di rispettiva competenza, venendo composto per due terzi da magistrati, rispettivamente giudicanti o requirenti, che meglio conoscono le peculiarità delle funzioni dei magistrati che governano, così da assicurare una maggiore efficienza delle rispettive funzioni svolte, nel pieno rispetto delle regole di imparzialità, di autonomia e di indipendenza stabilite dalla Costituzione».
È fondata la critica che la riforma non avrà riflessi concreti per il cittadino che si trovi ad affrontare una traversia giudiziaria?
«Trovo errata la critica in quanto la riforma consolida la piena uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, perché permette ad ogni utente del servizio di giustizia di essere certo che i due soggetti pubblici con i quali si rapporta nel processo penale, ossia il Giudice ed il Pm, non solo svolgono funzioni nettamente diverse, ma sono anche organizzati in modo distinto, così da non poter avere inframmettenze tra di loro di alcun tipo».
Perché non bastava aver separato le funzioni tra magistrato requirente e giudicante ma è importante istituire carriere diverse?
«Svolgendo funzioni ontologicamente diverse, Giudice e Pm richiedono una preparazione professionale profondamente diversa. È più corretto, allora, che le due diverse funzioni siano rivestite da magistrati appartenenti a complessi organizzativi diversi, che seguono percorsi di selezione e di formazione distinti ed adeguati alle attività pubbliche da svolgere: l’ordine giudiziario, autonomo ed indipendente da ogni altro potere, si biforca nella magistratura giudicante e nella magistratura requirente, reciprocamente autonome ed indipendenti. E tutto ciò non comporta il rischio di una sottoposizione del Pm all’esecutivo, come era avvenuto in Italia prima della Costituzione del 1948. Sottolineo che nella relazione di presentazione del disegno di legge costituzionale Meloni/Nordio è espressamente detto che l’intervento di riforma costituzionale: «conferma la compiuta assimilazione tra i magistrati del Pubblico ministero e i Giudici rispetto alle garanzie offerte dai principi di autonomia e indipendenza», in continuità «con la storia costituzionale italiana e con l’interpretazione della Corte Costituzionale». Né vi è il rischio che il Pm diventi un superpoliziotto, perché la riforma non tocca il ruolo che la Costituzione assegna al Pm di promotore a fini di giustizia del potere decisorio del Giudice secondo le regole del giusto processo, nei casi e nei modi previsti dalla legge».
L’introduzione del sorteggio nella determinazione dei Csm blocca il potere delle correnti?
«Certamente l’introduzione del sistema del sorteggio per la scelta dei membri togati dei due Csm elimina alla radice il deleterio fenomeno del correntismo che offende il prestigio della magistratura ordinaria, perché elimina alla radice ogni possibilità di accordo correntizio nella scelta dei membri dell’organo di governo e nella gestione della carriera del magistrato. Devo, però, criticare la riforma nella parte in cui stabilisce che mentre i componenti laici dei due Csm sono estratti a sorte da un elenco di esperti di diritto che il Parlamento in seduta comune compila mediante elezione, i componenti togati sono estratti a sorte, rispettivamente, tra i magistrati giudicanti o quelli requirenti per pura casualità, senza alcuna valutazione della capacità del sorteggiato a svolgere i delicati poteri di gestione del rispettivo corpo magistratuale».
Quali saranno gli effetti del riservare le funzioni disciplinari all’Alta Corte Disciplinare?
«L’istituzione dell’Alta Corte Disciplinare mirerebbe ad eliminare il rischio di corporativismo nelle decisioni oggi adottate dalla Sezione disciplinare del Csm.
Per perseguire questo obiettivo, però, la soluzione organizzativa adottata, sebbene accentui il carattere giurisdizionale dell’organo disciplinare previsto per tutti i magistrati ordinari, comprime, da un lato, l’autonomia riconosciuta alla magistratura ordinaria, perché riduce la sua rappresentanza all’interno dell’organo disciplinare da 2/3 a 3/5; e dall’altro lato, lede il diritto di difesa del magistrato incolpato, che non potrebbe più fare ricorso all’autorità giurisdizionale ordinaria contro la decisione dell’organo disciplinare, come invece ora avviene con il ricorso alle Sezioni Unite Civili della Cassazione. Forse sarebbe stato più corretto prevedere che la sentenza emessa dall’Alta Corte potesse essere impugnata dinanzi al Consiglio di Stato, giudice amministrativo».