Questione di soldi

Rimborsi elettorali: i partiti si obbligano a sprecare per legge

Giulio Bucchi

Una farsa, l'ennesima. Neanche il tempo dell'annuncio di aver dimezzato i rimborsi elettorali ai partiti (una mossa che non diminuisce il malcontento, anzi...), e già si scopre l'inghippo della Casta. I tagli ai finanziamenti dei partiti decisi approvati dalla Camera varranno soltanto per un anno. Altra beffa: la riforma costituzionale su taglio dei parlamentari verrà approvata nella prossima legislatura, con evidente dilatamento dei tempi.  Di seguito leggi l'articolo di Fosca Bincher Beppe Grillo vive di grandi illusioni. All’indomani della vittoria di Parma ha esultato: «Abbiamo dimostrato di potere fare politica senza soldi. A Parma sono stati spesi 6.400 euro di autofinanziamento e abbiamo vinto, come abbiamo vinto a Mira e Comacchio con poche centinaia di euro. Devono chiedersi come mai, perché e come abbiamo fatto. Dovranno confrontarsi con questo».  Sì, quei 6.400 euro di spesa di una lista per vincere le elezioni comunali a Parma hanno colpito tanti italiani. Probabilmente tutti. Meno quelli che guidano gli attuali partiti e siedono in Parlamento. Che evidentemente non si sono chiesti nulla e manco pensano a confrontarsi con quisquilie del genere. Lo si è visto ieri alla Camera quando il Pd ha presentato un emendamento alla nuova legge sul finanziamento pubblico dei partiti per mettere un tetto alle spese elettorali di candidati sindaci, consiglieri comunali e liste per le amministrative. Si sono fiondati tutti su quel testo, ognuno ha voluto dire la sua e ne è nato un tetto fantasmagorico, che avrebbe consentito a una lista che si presenta alle comunali di Roma di spendere complessivamente 28 milioni di euro. Qualcuno ne ha avuto vergogna, perché si stava scrivendo l’esatto contrario di quel che la nuova legge avrebbe voluto propagandare: un po’ di sobrietà nei costi della politica. L’emendamento è stato accantonato e poi ripresentato tagliando del 50% quei tetti fantasmagorici che erano stati ipotizzati. Ma anche nella versione finale è una cosa da matti. Si è deciso che in una elezione comunale ogni aspirante sindaco possa spendere per una città con più di 500mila abitanti 250mila euro più 0,90 euro per ogni componente il corpo elettorale. Fra 100 e 500mila abitanti il tetto di spesa scende a 125mila euro più un euro per ogni componente il corpo elettorale. Regole diverse, ma sempre legate al numero degli abitanti, per i consiglieri comunali (regola base 0,05 euro per ogni componente il corpo elettorale più 50mila, 25mila o 10mila euro a seconda del numero degli abitanti). La terza fiche può essere aggiunta da ciascuna lista, partito o movimento che si presenta alle comunali: un euro di spesa per ogni componente il corpo elettorale. Il risultato finale è qui nella tabella in pagina dove si spiega in alcune grandi città quali saranno i tetti di spesa elettorali: ogni lista per correre alle comunali di Roma potrà spendere 14,7 milioni di euro. Il solo candidato sindaco fino a 2,3 milioni di euro. Una lista a Milano potrà spendere 7,1 milioni di euro, mentre il candidato sindaco dovrà limitarsi a 1,1 milioni di euro. La simulazione più evidente è però quella di Parma. Il Movimento 5 stelle è riuscito a farcela spendendo 6.400 euro? I partiti ci hanno riflettuto ben bene e a Parma hanno messo un tetto di spesa alla lista di 1,5 milioni di euro. Al candidato sindaco di 267 mila euro. Una follia pura. Se il criterio lì inserito per le comunali fosse preso a riferimento per le elezioni nazionali, solo per il voto alla Camera dei deputati ogni partito avrebbe un tetto (si fa per dire) di spesa di 295 milioni di euro. Questa norma fa capire più di ogni altra inserita a singhiozzo nella rivoluzionaria legge sul finanziamento della politica, che i partiti oggi in parlamento non ci stanno più con la testa. E lo spettacolo offerto questi due giorni dall’aula di Montecitorio è stato davvero sconcertante. Questa legge è stata scritta da un pugile alle corde, e cambiata giorno dopo giorno fino all’ultima ora ad ogni cazzotto micidiale che stava assestando l’opinione pubblica. Formalmente è stata firmata dai tre grandi leader: Angelino Alfano, Pierluigi Bersani e Pierferdinando Casini. Tutti e tre si sono ben guardati di venire in Parlamento a difenderla pubblicamente davanti agli elettori. Alla chetichella sono arrivati all’ultimo, per il voto finale. Nessuno dei leader ha preso la parola per affrontare chiaramente davanti agli italiani il tema dei costi della politica. Non ne hanno avuto il coraggio. Hanno presentato un testo che riduceva un po’ le spese, pronti però ad incassare l’ultima rata del vecchio rimborso elettorale. Subissati dai fischi se la sono fatta addosso, con una virata di 180 gradi. Nuovo giro, nuova norma: vecchi rimborsi ridotti di un terzo. Pioggia di fischi, i tre leader si sono fatti piccoli piccoli. I tesorieri di Pd e Pdl avevano spiegato bene ad Alfano e Bersani: noi i soldi che devono arrivare a luglio ce li siamo già fatti anticipare dalle banche e li abbiamo spesi. Se li tagliate, chi copre il buco? In mezzo ai fischi quelli manco hanno voluto affrontare il problema. Rimborsi tagliati al 50% e per il buco o pensa Berlusconi a ripianare sia Pdl che Pd, o si troverà una soluzione di nascosto nei prossimi mesi. Per recuperare qualcosina intanto se ne era inventata un’altra ancora l’altro ieri: 38% di detrazione fiscale per i contributi di privati dati ai partiti fino a 10mila euro. Sono insorte le onlus: a loro solo 19% di detrazione fino a 2 mila euro. Il pugile suonato e rimbambito alle corde, preso il nuovo cazzotto, ha cambiato ancora: nel 2012 detrazioni al 19% per tutti: Partiti fino a 103 mila euro, onlus fino a 2 mila euro. Nel 2013 detrazioni al 24% nel 2014 al 26%  per le persone fisiche che donano sia ai partiti fino a 10 mila euro che alle onlus fino a 2 mila euro. Per le imprese detrazione al 19% per donare alle onlus fino a 2 mila euro e ai partiti fino a 103 mila euro. Una soluzione caotica, che fa un regalo alle onlus e un regalo più grosso ai partiti: l’impar condicio resta. Suonati come pere cotte, alla fine almeno una l’hanno fatta giusta: in tagli ai rimborsi elettorali (160 milioni in due anni) sono stati girati ai terremotati, trasformando in norma un ordine del giorno firmato da Franco Frattini. di Fosca Bincher