La dura legge del web

Monti massone, Bettina escort, il Papa gay: quando google è una condanna

Giulio Bucchi

di Giordano Tedoldi Esiste anche il verbo, googlarsi, cercare il proprio nome su Google per sapere che ne pensa l’universo digitale di se stessi. Nessuno è esente dal vizio di googlarsi ma il problema è che, fate attenzione, noi ci googliamo in base a come ci googlano gli altri. È un gioco di specchi, non è verità rivelata e chissà cosa ne può uscire. In Germania l’ex first-lady Bettina Wulff ha scoperto che l’algoritmo di completamento automatico del motore di ricerca aggiunge al suo nome la parola «Prostituierte», prostituta. La signora, che dev’essere ancora comprensibilmente scossa dal malo modo in cui suo marito Christian Wulff ha dovuto lasciare, nel febbraio scorso, la carica di presidente della Repubblica federale tedesca perché accusato di aver ricevuto finanziamenti illeciti e mutui agevolati da un amico, è passata al contrattacco.  Due giorni fa la Süddeutsche Zeitung ha dato la notizia che Bettina Wulff denunciava Google per diffamazione. Ma perché Google completa la ricerca con «prostituta»? Perché il suo algoritmo funziona su base meramente statistica e se ne infischia delle buone maniere: se tanti utenti eseguono quel tipo di ricerca lui pensa che sia utile e quindi la propone. Ma perché gli utenti vogliono sapere se Bettina Wulff è una prostituta? Solo in base un pettegolezzo che nasce circa sei anni fa nei circoli della Cdu di Hannover, città dove è nata. Il pettegolezzo narra che la signora, prima di sposare l’influente uomo politico che per due anni sarà presidente della Germania, esercitasse il meretricio nel distretto a luci rosse della sua città. Wulff ha sempre energicamente smentito questa voce e oltre a Google ha denunciato il giornalista televisivo Günther Jauch, reo di aver citato in trasmissione un quotidiano che dava spazio a quel suo presunto passato proibito. La voce non sarebbe altro che una calunnia che prese quota nel 2010 per danneggiare la reputazione del marito, sul punto di assumere l’incarico di presidente federale. Ma a Google di queste bassezze della politica poco importa e poiché la faccenda è molto dibattuta in rete, ecco che la signora è marchiata come escort nella tabella delle ricerche.  Ma scendiamo nel Belpaese. Scriviamo «Berlusconi» su Google e il completamento automatico suggerisce il fin troppo banale «mafia». D’Alema è «massone», come Mario Monti. Veltroni, sorprendentemente, «mafia» pure lui. Rutelli viene subito messo in compagnia del suo arcinemico: «Rutelli e Lusi», neanche fossero Bonnie & Clyde. Svariamo un po’: Gianni Morandi è accostato a «coprofago». Mentana è soprattutto «ebreo», mentre per l’attore Renato Pozzetto (come per George Clooney, c’è di che vantarsene) la ricerca aggiunge «gay». Bersani, nel senso di Pier Luigi, segretario del Pd, viene preceduto dal risultato «Bersani Samuele», cioè il cantante, che tra l’altro non è proprio popolarissimo, e qui c’è di che preoccuparsi. Delirio puro se si scrive Ratzinger, col che si ricevono due suggerimenti immediati: «ss» e «gay». Se poi si scrive «Dio» otteniamo come primo completamento la notizia, già annunciata dal filosofo Nietzsche, che «è morto», e poi, terzo risultato, una nota bestemmia crediamo di origine toscana.  Ora la cosa che va sottolineata è che tutti questi completamenti automatici sono, come detto, frutto delle ricerche degli utenti, dei dibattiti in rete, e quando finiscono nella finestrella di Google diventano, volenti o nolenti, delle definizioni, delle qualifiche ufficiali del nome e cognome cui si accompagnano. Può piacere o no, ma non si tratta più di semplici pettegolezzi che circolano in corridoi riservati, si scrive «Monti» e si vede comparire accanto «massone», e uno comincia a chiedersi: sono tutti pazzi quelli che abbinano quel nome a quella qualifica? Cosa c’è sotto? Com’è possibile che il più potente, accurato, usato motore di ricerca al mondo metta insieme simili parole in un algoritmo che dovrebbe aiutarmi a fare ricerche più utili, e non a sputare sulla reputazione della gente?  Non sappiamo come procederà la denuncia di diffamazione di Bettina Wulff contro Google, ci limitiamo a sollevare il problema. Perché o si dice che certi completamenti di Google sono pure scemenze, e allora bisogna ammettere che il superbo motore di ricerca è anche alquanto fesso, e la rete tutta è pericolosamente incline al pettegolezzo diffamatorio, come sua natura costitutiva, oppure dobbiamo ipotizzare dei correttivi, rendere un po’ meno triviale l’algoritmo di ricerca. Ma già li sentiamo, quelli che lamenteranno il bavaglio al web. Bella patata bollente. Intanto googlatevi pure né lamentatevi se vi scoprirete ss, massoni o prostitute, siete in buona compagnia.