Una vicenda assurda

Ilva, no al dissequestro. L'azienda: "A casa 4mila operai"

Andrea Tempestini

Il gip del tribunale di Taranto respinge l'istanza dell'Ilva di reimmissione nel possesso dei prodotti finiti e semilavorati sequestrati lo scorso 26 novembre: l'istanza era stata presentata una settimana fa dalla società alla procura in base al decreto legge varato il 3 dicembre. L'Ilva ha commentato la decisione del gip del Tribunale di Taranto, Patrizia Todisco, spiegando che ci saranno "drammatiche conseguenze per i livelli occupazionali e per la situazione economica dell'azienda". L'ultimo blitz delle toghe rischia di "svuotare" il decreto varato dal governo in fretta e furia lo scorso 3 dicembre per raddrizzare la situazione e di lasciare a casa migliaia di operai. Il motivo? Mario Monti e la sua nutrita pattuglia di professori hanno scordato di inserire nel decreto una norma che prevedesse la retroattività del dissequestro. Giacenza da 1 miliardo - La produzione giacente in stabilimento, generata prima e dopo il 26 luglio 2012 e fino al 2 dicembre 2012, tuttavia "non potrà essere inviata agli altri stabilimenti del Gruppo per le successive lavorazioni o consegnata ai clienti finali", ha spiegato l'Ilva in una nota. Nel dettaglio, la quantità di prodotti e di semilavorati interessati dal provvedimento di sequestro è di circa 1.700.000 tonnellate, per un valore di circa 1 miliardo di euro. Fiume di disoccupati - Poiché manca la disponibilità di prodotti finiti e semilavoarati, verrà totalmente interrotta la lavorazione verticalizzata a Taranto, e negli altri stabilimenti Ilva sarà necessario ricostruire da zero un nuovo parco prodotti lavorati e semilavorati. Secondo l'Ilva, "da ora e a cascata per le prossime settimane circa 1.400 dipendenti, appartenenti prevalentemente alle aree della laminazione a freddo, tubifici e servizi correlati, rimarranno senza lavoro. Il numero di questi lavoratori si andrà a sommare ai già 1.200 dipendenti attualmente in cassa integrazione per le cause già note quali la situazione di mercato e le conseguenze del tornado che ha investito lo stabilimento di Taranto lo scorso 28 novembre". La retroattività - Le 1.700.000 tonnellate di merce sono in giacenza sulle banchine dell'ex area portuale dell'Ilva. I prodotti erano sul punto di essere commercializzati quando è arrivato il decreto del gip Todisco che ne dispone il sequestro. Sull'istanza presentata dall'Ilva la procura ha opposto un parere negativo, per poi trasmettere la richiesta dell'azienda al gip. Secondo quanto stabilito dalla procura, ai prodotti della società non è possibile applicare il decreto legge del 3 dicembre poiché la legge non ha effetto retroattivo. "L'attività con la relativa produzione avvenuta prima dell'emanazione del decreto non è soggetta alle regole ivi contenute", ha scritto la procura. Secondo quanto si è appreso, le basi su cui è maturata la decisione del gip sono le medesime. Le motivazioni - Secondo quanto scritto dal gip Todisco nell'ordinanza, il divieto di retroattività della legge "è fondamentale valore di civilità giuridica e principio generale dell'ordinamento". Il giudice fa riferimento a quanto previsto dall'articolo 3 comma 3 del dl Ilva, in cui viene disposta la reimmissione della società nel possesso dei beni "a decorrere dalla data di entrata in vigore dello stesso provvedimento", ossia lo scorso 3 dicembre. La merce che ora giace sulle banchine - prodotti finiti e semilavorati - sarebbe destinata alla vendita o al trasferimento in altri stabilimenti del gruppo Riva.