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La Kyenge sdogana la parola tabùDa oggi si può dire "negro"

Nicoletta Orlandi Posti
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È forse la parola più bandita dal vocabolario del politically correct. Averla pronunciata- peraltro cantando una canzoncina da bambini durante un fuori onda - è costato il posto a un conduttore della Bbc. Se fino a quattro mesi fa l'avesse mai pronunciata qualcuno nei confronti dell'allora ministro dell'integrazione, Cecile Kyenge, sarebbe stato linciato e per giorni con titoloni sui giornali. Ne sa qualcosa il povero Paolo Villaggio che in una trasmissione radiofonica la chiamò proprio con quel nome. Quella parola non si poteva proprio pronunciare. Lo sapeva bene un politico che certo non è noto per essere un principe del bon ton come il leghista Mario Borghezio, che avrebbe voluto appellare così il ministro Kyenge ma si frenò pubblicamente: «quella parola non la posso dire, ma al massimo pensare. Tanto è: fra poco in Italia sarà proibito dire anche clandestino, bisognerà dire Sua Eccellenza...». Se non l'avete capito, la parola impronunciabile e non scrivibile fino a ieri nemmeno da chi fa il giornalista, perché rischierebbe denunce e magari anche sanzioni dell'ordine professionale, ora è stata per la prima volta e autorevolissimamente sdoganata. Da oggi si può dire e scrivere «negro» senza essere preso per razzista di quart'ordine, senza essere inseguito dai custodi del politically correct e del bon ton. Perchè quel termine è scritto nero su bianco su un atto parlamentare, il disegno di legge n. 2139 della Camera dei deputati presentato ufficialmente il 26 febbraio scorso ma stampato solo questa settimana dopo che evidentemente i tipografi di Montecitorio hanno fatto le opportunissime verifiche. La prima firma del testo è proprio quella di Cecile Kyenge, che da poco aveva perso la poltrona da ministro e riacquistato la libertà dei singoli parlamentari di presentare proposte di legge senza chiedere il permesso preventivo. Il testo di legge porta il titolo «Disposizioni per la modifica o l'abrogazione di norme discriminatorie». Ed è a pagina 2 che sdogana per la prima volta il termine proibito, ricordando la «recente abrogazione delle disposizioni discriminatorie in materia di personale marittimo negro imbarcato sulle navi italiane, disposta dall'articolo 6 della legge 23 settembre 2013, n.113». Sì, niente discriminazioni per i marinai «negri». Lo dice la Kyenge - fresca di elezione all'Europarlamento con i voti degli elettori di quel Nord Est di Italia in cui da ministro aveva paura perfino di girare- e lo firma anche un bel gruppo di deputati del Pd, fra cui la capolista del Pd del Sud, Pina Picierno, e Khalid Chaouki, il giovane deputato di origini marocchine e religione islamica. «Marinaio negro», che se l'avesse detto in aula un leghista qualunque gli avrebbe tolto sicuramente la parola il presidente della Camera Laura Boldrini. «Negro» l'ha proprio scritto la Kyenge, e l'hanno firmato gli altri colleghi non si sa con quanta consapevolezza. «Non me ne ero accorto», confessa candido a Libero Chaouki, «ho letto le norme e forse scorso frettolosamente la relazione che le accompagnava. Magari era una citazione giuridica dalla vecchia legge fascista, forse era proprio scritto così, marittimo negro...». La Kyenge in realtà si riferisce a una norma di legge varata quando lei era ministro. Ma quell'articolo citato non è il colpevole. Stabiliva solo concisamente che «L'articolo 36 della legge 16 giugno 1939, n. 1045 è abrogato». Quella sì era una legge del regime fascista, ed è stata abrogata proprio per le discriminazioni razziali che prevedeva. Ma nemmeno Benito Mussolini e i suoi legislatori ebbero il coraggio di scrivere «negro». Chissà, almeno la forma era salva anche in un periodo come quello. Perchè la norma discriminatoria abrogata prevedeva che «Qualora tra i componenti l'equipaggio vi siano persone di colore a queste dovranno essere riservate sistemazioni di alloggio, di lavanda e igieniche, separate da quelle del restante personale e rispondenti ai loro usi e costumi. Per tale personale di colore dovrà altresì esservi a bordo il modo di confezionare il vitto secondo le sue abitudini e i suoi costumi». Dicevano «di colore», e non «negri» come li apostrofa oggi la Kyenge... di Franco Bechis

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