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Napolitano non firma il decreto sulla pubblica amministrazione

Ignazio Stagno
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Alta tensione tra il Colle e palazzo Chigi. Giorgio Napolitano non ha ancora firmato il decreto sulla riforme della pubblica amministrazione fortemente voluto dal ministro Madia e dal premier Matteo Renzi. Il ministro aveva assicurato che il Colle avrebbe firmato entro il 23 giugno il decreto sulla riforma. Ma da Napolitano è arrivato un secco no. Mercoledì dal Dipartimento della funzione pubblica avevano fatto sapere che il decreto sarebbe stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale prima del Consiglio dei ministri di venerdì scorso, non oltre. Ma il Colle fa sapere di non aver firmato semplicemente perchè il decreto non è ancora arrivato nelle mani di Napolitano. Non è dunque ancora giunto. Del decreto si sono perse le tracce da dieci giorni. I sindacati sono all'oscuro di tutto da allora. "Una cosa così non si era mai vista prima" bisbigliano esponenti della maggioranza a Montecitorio non senza imbarazzo. Nel frattempo il decreto è stato smontato e rimontato, lontano dai radar. Contava in principio 37 articoli. Poi ottanta. Poi cento. Centoventi. È diventato un pentolone nel quale strada facendo ha trovato spazio un po' di tutto.  I dubbi del Quirinale -  Il Colle, dalla sua, starebbe facendo pressioni affinché il pacchetto anti-corruzione viaggi su un binario riservato. Le misure che riguardano ambiente, agricoltura e sviluppo, riferiscono fonti di governo, potrebbero approdare al Senato in un decreto a parte. La commissione Bilancio della Camera, dove l'arrivo del testo era atteso per venerdì sera, esaminerà invece con ogni probabilità i provvedimenti relativi al taglio della spesa oltre a quelli legati alla semplificazione del fisco. La riforma della Pa, in tutto questo, è diventato giusto un pezzetto del decreto.  I conti non tornano - I tecnici del Quirinale hanno capito che qualcosa non andava subito dopo aver dato la prima occhiata al decreto di 120 articoli. Dopodiché ha preso il largo un'opera di vivisezione particolarmente accurata. L'abolizione del trattenimento in servizio lascerebbe scoperte ad esempio 400 posizioni di vertice in seno alla macchina giudiziaria. Ma le perplessità del Colle non si fermano qui e sarebbero svariati gli articoli sotto la lente. Dubbi anche da parte della Ragioneria dello Stato, chiamata ad esaminare il provvedimento, per nulla convinta da una serie di norme concernenti il taglio della spesa. Insomma per la Madia e per il Colel sta per arrivare un luglio di fuoco. 

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