Un miliardo di euro alla jihad, i soldi arrivano da Milano: la frode fiscale che terrorizza l'Italia
Oltre un miliardo di euro sottratti al fisco italiano sono finiti nelle casse della jihad. Lo ha scoperto la procura di Milano che partendo dalla denuncia di una commercialista ha scoperto la mega frode fiscale messa in campo da un'associazione anglo-pakistana e da una franco-israeliana e ha incriminato 38 persone. Le due organizzazioni criminali, spiega Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera, operavano sia singolarmente che insieme. Acquistavano senza pagare l'Iva, esclusa in questo tipo di transazioni intracomunitarie, i certificati di "carbon credit" (certificati ambientali sulle emissioni di CO2) in Gran Bretagna, Francia, Olanda e Germania attraverso società fittizie con sede in Italia, vere e proprie "cartiere" che producevano solo fatture e che erano intestate o a prestanome quasi sempre cinesi o a persone estranee ma vittime di furti d'identità, poi aggiungevano l'Iva al 20 per cento e li vendevano ad altre società, anche queste fittizie, che facevano da intermediari con gli ignari acquirenti finali. Una volta incassata l'Iva, invece di versarla allo Stato italiano la "cartiera" chiudeva i battenti e spariva nel nulla, mentre i soldi, milioni e milioni di euro, venivano dirottati su conti correnti a Cipro e Hong Kong per finire a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. Lì le rogatorie avviate dai pm milanesi a caccia di Imran Yakum Ahmed, un pachistano di 40 anni con passaporto inglese residente a Preston (Gran Bretagna), amministratore della milanese “Sf Energy Trading spa”, sono cadute nel nulla, mentre i soldi sottratti all'Erario italiano sono stati riciclati in diamanti ed investimenti immobiliari. Riciclaggio per finanziare il terrorismo - Ma l'aspetto più inquietante che emerge dalle carte dell'indagine milanese, fa notare Ferrarella, è che dietro le "imponenti operazioni di riciclaggio" legate alla frode fiscale potrebbe celarsi un canale di "finanziamento al terrorismo internazionale" di matrice islamica. A lanciare l'allarme sono stati i servizi segreti americani e inglesi che hanno esaminato i documenti trovati nel 2010 in un covo dei talebani tra le montagne tra Pakistan e Afghanistan che conducevano proprio ad Imran Yakub Ahmed nel mirino dei pm Carlo Nocerino e Adriano Scudieri nel pool guidato dall'aggiunto Francesco Greco dopo che si era presentata in Procura una commercialista di Milano spaventata dalla facilità con la quale guadagnava soldi a palate lavorando per alcune società intestate a prestanome cinesi e italiani, cartiere che facevano girare milioni di euro vendendo e acquistando migliaia di carbon credit. Le indagini della Procura milanese, chiuse in questi giorni in vista della richiesta di processo, hanno scoperto una frode da 660 milioni, di cui 80 sequestrati. Un'inchiesta parallela, ancora in corso rivela il Corsera, sta già disvelando un'altra frode del tutto analoga che ha sottratto ai contribuenti italiani altri 450 milioni. Il meccanismo - Il meccanismo criminale, spiega Ferrarella, è stato replicato per anni in centinaia di transazioni facendo impazzire le polizie di tutta Europa, fino a quando le due organizzazioni hanno trasferito gli affari in Italia dopo che altri Paesi dell'Ue erano corsi ai ripari con norme che avevano di fatto rotto il giocattolo. Un ginepraio in cui si sono mossi anche gli investigatori della «Bundeskriminalamt» tedesca, della «Service National de Douane Judiciare» francese, ma anche di Belgio e Liechtenstein, tutti coordinati da Europol e Eurojust. La conclusione è che i mercati energetici europei sono «fortemente manipolati e comunque viziati da un numero impressionate di transazioni commerciali effettuate al precipuo scopo di realizzare rilevanti frodi agli Erari». La preoccupazione è alta, tanto che le indagini sono state estese a livello internazionale acquisendo i dati in possesso del «Citl», l'ente di Bruxelles che monitora a livello europeo gli scambi dei permessi di emissione di CO2.