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Socci: Papa Francesco lotta col Leonka, non per i martiri in Pakistan

Eliana Giusto
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Shahzad Masih aveva 28 anni e sua moglie Shama, 25. Due giovani cattolici con quattro bambini. Lei era incinta del quinto. Lui lavorava come operaio molto sfruttato in un mattonificio (il cui padrone, musulmano, lo aveva già brutalmente picchiato) a Kasur, vicino a Lahore, in quel Pakistan in cui i cristiani sono considerati spazzatura. Il 4 novembre scorso i due giovani sono stati falsamente accusati di aver profanato delle pagine del Corano, torturati per due giorni, linciati da una folla inferocita e alla fine gettati in una fornace e bruciati. Nessuna mobilitazione - Questi macelli non sono rari. È un orrore continuo che i cristiani subiscono da una popolazione e da uno Stato che quotidianamente li umilia e li tiene sotto minaccia di morte (con la famigerata legge sulla blasfemia). Non è uno staterello, il Pakistan. Ha la bomba atomica e conta 180 milioni di abitanti (la sesta nazione più popolosa al mondo e il secondo fra i Paesi musulmani dopo l'Indonesia). Il rogo dei due cristiani per la sua ferocia è riuscito ad arrivare anche sulle cronache dei nostri giornali. Ma non ha mobilitato nessuno, né persone, né associazioni, né istituzioni. Qualcuno ha accusato l'opinione pubblica di essere rimasta più scandalizzata per l'inchiesta di «Report» sulle oche spennate che per la sorte di questi cristiani. Così come a settembre fece scandalo per una settimana l'uccisione (involontaria) dell'orsa in Trentino, mentre passò quasi inosservata, nelle stesse ore, l'uccisione di tre suore italiane in un paese africano. Tuttavia c'è chi ha replicato che lo stesso papa Bergoglio, pur intervenendo ogni giorno e più volte, ha taciuto su questa tragedia. Se lui è il primo a non parlare di questi orrori (preferisce pontificare sui pettegolezzi nelle parrocchie, questione a cui ha dedicato decine di omelie), non si può accusare il mondo di insensibilità. Silenzio - In effetti Bergoglio non ha mai voluto dire una parola neanche in difesa della povera Asia Bibi, madre poverissima di quattro figli che da cinque anni è chiusa in una lurida prigione dove viene sottoposta a torture indicibili e che è stata condannata a morte per impiccagione solo perché cristiana. La povera donna scrisse al Papa, ma invano. Neanche la conferma della sua condanna a morte in corte d'appello nei giorni scorsi ha smosso Bergoglio, che è sempre molto timido e reticente quando si tratta dei musulmani. È dovuto intervenire, tre giorni fa, impietosito, Kirill, il patriarca di Mosca e di tutte le Russie, per chiedere formalmente al Presidente del Pakistan, a nome della Chiesa ortodossa, la grazia per la cattolica Asia Bibi. Ma papa Bergoglio no. Del resto tacque ostinatamente anche sul caso di Meriam in Sudan. Come sui tanti cristiani che in Pakistan vivono la stessa tragedia di Asia Bibi. E sulle violenze e gli abusi subiti soprattutto dalle ragazze cristiane. Ideologia - Nelle omelie quotidiane di Santa Marta Bergoglio si dedica piuttosto a randellare coloro che considera «conservatori» (che sono poi maggioranza, come si è visto al Sinodo). E assesta colpi pesanti e continui sui cristiani in generale da lui dipinti ogni giorno come ricettacolo di tutti i difetti. Eppure sono quegli stessi cristiani che egli, come pastore, dovrebbe difendere e confortare. Gli stessi cristiani che ad ogni latitudine subiscono, sotto ogni potere e ogni ideologia, persecuzioni, martirio e odio. L'80 per cento delle vittime, per discriminazioni religiose, nel mondo, sono cristiane. Lo hanno confermato, proprio in questa settimana, due denunce pesanti: il «Libro nero della condizione dei cristiani nel mondo» (Mondadori) e l'annuale Rapporto dell'«Aiuto alla Chiesa che soffre». Perseguitati - È una tragedia che va avanti da anni. Io stesso pubblicai dodici anni fa «I nuovi perseguitati» e il panorama era identico. Come pure le cifre: centomila cristiani uccisi ogni anno a causa della loro fede che significa cinque vittime al minuto. Il totale dei cristiani perseguitati si aggira sui 200 milioni e le notizie di atrocità e massacri - a volerle seguire - sono quotidiane. Basta leggere i resoconti dei reporter che sono andati a Erbil a parlare con i 30 mila cristiani profughi, che ancora sono esposti alla pioggia, alla fame e al freddo perché cacciati dalle loro case dai terroristi dell'Isis. Ogni famiglia piange le sue tragedie: figlie catturate e vendute come schiave al mercato di Mosul, mariti e figli ammazzati, e poi crocifissi, sepolti vivi, sgozzati, donne stuprate. Nei giorni scorsi è circolato il video sui miliziani islamisti che contrattavano il prezzo delle schiave. A volte si tratta di ragazzine. Vendute per poche monete. E in Africa è la stessa tragedia. Sempre nei giorni scorsi si è conosciuta la sorte toccata alle 200 studentesse cristiane rapite in Nigeria da Boko Haram, stuprate, costrette a convertirsi all'islam e al matrimonio forzato con musulmani. E poi c'è la Siria. E gli altri Paesi islamici. Infine quelli comunisti. Con la Cina e il suo immenso Gulag che ha ingoiato anche eroici vescovi cattolici. O quel disumano lager a cielo aperto che è la Corea del Nord dove migliaia e migliaia di cristiani sono semplicemente spariti nelle fauci del mostro. Dopo l'orrore dei cristiani bruciati in Pakistan il presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, cardinale Jean-Louis Tauran, inorridito, ha detto a Radio Vaticana: «Si può rimanere così passivi di fronte a crimini dichiarati legittimi dalla religione?».  No, non si può. Ma dovrebbe farlo sapere anzitutto a papa Bergoglio. Il cardinale si chiede angosciato: «La comunità internazionale non dovrebbe intervenire?». Certo. E il Papa?  È la stessa storia dell'estate scorsa, davanti ai massacri dell'Isis. Il Papa non solo fu reticente, ma quando alla fine fu interpellato direttamente sul volo di ritorno dalla Corea volle sottolineare che non si dovevano usare la forza e i bombardamenti per difendere gli inermi minacciati di massacro dai criminali. Un commentatore pur di sinistra come Adriano Sofri gli fece notare che ciò «lascerebbe alla loro mercé donne bambini vecchi e uomini, di tutte le fedi e nazioni». Certo Francesco ha parlato diverse volte delle persecuzioni. Vero. Ma sempre genericamente, ripetendo la stessa frase: «Ci sono più martiri oggi che nei primi secoli». Mai però è intervenuto sui casi specifici o per fermare i massacri, mai ha condannato i carnefici chiamandoli per nome, mai ha attivato canali di intervento, mai ha nominato l'islam o il comunismo, mai ha coinvolto la Chiesa. Deriva no global - Sembra non voglia pestare i piedi ai persecutori. Dei musulmani parla sempre come fraterni interlocutori a cui inviare gli auguri per il Ramadan. Anche sul comunismo (il più sanguinario esperimento anticristiano della storia) dribbla le domande dicendo sempre che ha conosciuto militanti comunisti in Argentina che erano brave persone. «Chi sono io per giudicare?». Sfodera toni infuocati (e giudica) solo quando si scaglia contro il «liberismo selvaggio». Il 28 ottobre ha ospitato in Vaticano vari movimenti noglobal, compreso il Leoncavallo e ha scagliato fulmini. Tanto che Fausto Bertinotti ha subito indicato in lui - venerdì sera, a Tg3 notte - il vero «rivoluzionario» del momento. Bertinotti ha sottolineato che Bergoglio in quell'incontro - dove non ha fatto mai l'annuncio della salvezza di Cristo - «ha ripetuto una parola che nessun papa aveva pronunciato: lotta». In effetti Sandro Magister ha notato: «ciò che più colpisce di questo discorso è la sua stupefacente somiglianza con le teorie sostenute dal filosofo Toni Negri e dal suo discepolo Michael Hardt in un libro del 2002 che ha fatto epoca: “Impero”». La deriva noglobal insieme al disastro dottrinale tentato al Sinodo (che sarà compiuto al prossimo Sinodo) e a un governo della Chiesa fatto di defenestrazioni e «purghe» di chi è fedele alla tradizione cattolica, pongono oggi la Chiesa in una situazione tragica. Non si tratta solo delle persecuzioni. C'è buio a Roma. di Antonio Socci

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