Chico, da 15 anni prigioniero negli UsaL'appello a Renzi: ne parli con Obama
Quando - domani alla Casa Bianca - Matteo Renzi incontrerà Barack Obama per parlare di Libia, Ucraina, lotta all'Isis ed economia Ue, non ci saranno in gioco solo rapporti politici, questioni diplomatiche, affari internazionali e bla bla bla. No. Ci sarà in gioco - ce lo auguriamo, anzi spingiamo perché succeda - anche il futuro, o meglio, la vita di un cittadino italiano che quindici anni fa si è ritrovato coinvolto in una storia assurda, drammatica. Folle. E che da allora è in carcere negli Usa, da innocente, con una condanna all'ergastolo (il 15 giugno 2000) per omicidio. Già, Chico Forti. La sua è una storia che ti entra dentro e ti strizza l'anima (fa paura pensare che ciò che è toccato a lui potrebbe capitare a chiunque di noi, ma questa è la verità), ti dà rabbia, ti ferisce. La storia di un italiano che viveva felicemente a Miami, amava la vela (ha partecipato a sei mondiali e due europei di windsurf) e faceva il produttore cinematografico fin quando, nel 1998, senza motivo, è stato incolpato di aver ucciso Dale Pike, figlio di Anthony Pike, dal quale stava acquistando il Pikes Hotel a Ibiza. L'inizio di un incubo che ha portato un innocente ad essere accusato senza indizi, essere giudicato senza difesa, essere condannato senza prove. Incastrato. Dopo anni di sofferenze e battaglie, illusioni e delusioni, a Chico ora resta un'unica speranza per non restare in prigione fino alla morte: far riaprire il caso. «E per farlo il solo modo è sensibilizzare la politica americana ad altissimi livelli - spiega Francesco Guidetti, portavoce di Chico Forti in Italia - Ecco perché questo summit rappresenta la nostra ultima speranza. Renzi finora non si è mai occupato della vicenda, ma questa è l'occasione perfetta. Anche perché, considerate le evidenze del caso, potrebbe essere una vittoria facile, una medaglia che il Premier potrebbe mettersi al petto con orgoglio». Ciò che chiede chi sostiene la causa di Forti è semplice. «Basta che Renzi spieghi a Obama che questo è una caso di palese ingiustizia processuale. E che va riaperto, ora che ci sono nuovi elementi». Guidetti ha seguito la vicenda fin dall'inizio. E soprattutto da vicino. «Sono stato chiamato negli Usa a testimoniare in quanto amico di Chico. E ho assistito a uno scempio. Chico, al processo, ci è arrivato incatenato e con i ceppi ai piedi, la difesa non ha detto niente perché probabilmente collusa con l'accusa, lui non è stato chiamato a deporre, la giuria era distratta e impegnata a mangiare patatine e bere Coca Cola e il giudice aveva fretta perché doveva partire per le vacanze». Renzi e Obama, ma non solo. Chico da un anno ha un nuovo aiuto, quello di Joe Tacopina, avvocato di New York famosissimo negli Usa e conosciuto anche da noi per essere il presidente del Bologna Football Club (è stato, nel 2011, vicepresidente della Roma): è lui, ora, ad occuparsi del caso dando battaglia alla giustizia statunitense perché «il Pubblico Ministero ha ingiustamente ottenuto la condanna di Chico attraverso l'uso di mezzi impropri - spiega il legale - ignorando prove che chiaramente l'avrebbero scagionato. Ora esiste una concreta speranza di correggere questo misfatto per mezzo di un attacco collaterale, basato su prove dell'attuale innocenza di Forti e sulla presentazione di prove recentemente rinvenute che non erano disponibili precedentemente». La difesa di Forti punterà sul fatto che Chico non aveva un movente per uccidere («Ha trasferito soldi da se stesso a Anthony. La documentazione lo prova») e che il presunto movente presentato dall'accusa (Chico cercava di rubare l'hotel ad Anthony Pike, presentato come un uomo anziano sofferente di demenza causata da Aids e incapace di occuparsi dei propri affari) era «un'assurda forzata teoria che non aveva nessun supporto reale... perché ci sono le prove che Anthony Pike era invece un uomo sano di corpo e di mente». Poi c'è la questione dei testimoni. «Molti non sono mai stati chiamati a deporre - spiega ancora Tacopina - anche se sarebbero stati estremamente favorevoli per Foti, mentre per altri il procuratore, come un serpente, e senza preventivamente avvertire il difensore, ha annullato la tecnologia satellitare necessaria per ascoltarli dalla Spagna». Le nuove prove, invece, riguardano «documenti importanti che portano ad altri individui sconosciuti al tempo dell'omicidio, ma che potrebbero avere connessioni ad esso. E prove di Dna su oggetti appartenenti al morto che non sono mai state testate». Tutti elementi, questi, in grado di far riaprire il processo e rendere così giustizia a Chico Forti. Ma perché questo avvenga ci vuole un segnale forte dell'Italia. E domani, alla Casa Bianca, potrebbe essere l'occasione giusta. di Alessandro Dell'Orto