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Il Papa scrive a Socci: "Grazie per le critiche"

Lucia Esposito
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Venerdì scorso passavo frettolosamente da casa dei miei, piena di ricordi di mio padre, come il suo quadro più bello: un minatore esanime trasportato su una barella dai compagni (mio padre stesso in miniera un giorno rischiò la vita e restò mutilato). È lui che mi ha insegnato che la vita è lotta per la propria dignità e per la verità. E mi ha testimoniato che la libertà è perfino più importante del pane. A lui, che da minatore cattolico il 18 aprile 1948 si batté per la libertà del nostro Paese, devo l' insegnamento più importante: vivere senza menzogna.  E a lui ho pensato venerdì, quando mi è arrivata quella lettera per posta prioritaria. Mia madre stupita mi ha consegnato la busta bianca, col timbro della Città del Vaticano, sussurrandomi: «Ma ti ha scritto il Papa?». In effetti la grafia era inequivocabile. Proprio il Pontefice, con una stilografica a inchiostro nero, ha tracciato il mio indirizzo e il mittente, dietro la busta (una "F." per Francesco) e sotto: «Casa Santa Marta - 00120 Città del Vaticano». Ho pensato a mio padre perché per me è il simbolo di quel popolo cristiano a cui dobbiamo tantissimo, quel popolo cristiano che è disprezzato dall' establishment intellettualoide che esalta Francesco (penso a Repubblica). Quel popolo cristiano che si è sentito abbandonato dai suoi pastori negli ultimi tre anni. Papa Francesco infatti ha un gran successo mediatico tra i mangiapreti, ma ha portato la Chiesa in una grande confusione. Basti vedere le dichiarazioni fatte anche ieri sul volo di ritorno dal Messico dove si è "immischiato" pesantemente sulle politiche dell' immigrazione, ma ha affermato di non volersi immischiare nella discussione italiana relativa alle unioni gay (eppure è vescovo di Roma e primate d' Italia). Ma voglio fare un esempio più clamoroso. Proprio venerdì, mentre ricevevo la sua lettera, vedevo il Santo Padre in tv per la Dichiarazione firmata da lui col Patriarca ortodosso Kirill. È un memorabile pronunciamento storico-politico con cui la Chiesa Cattolica romana e la Chiesa ortodossa, insieme, hanno rovesciato l'«Agenda obamiana» a cui il Papa si era finora - disastrosamente - sottomesso. La Dichiarazione riporta la Chiesa sulla via di Benedetto XVI, infatti è un vero siluro contro «la dittatura del relativismo» dell' Occidente e contro la dittatura dell' islamismo dell' Oriente. È un grido di libertà che esalta le nostre radici cristiane, dall' Atlantico agli Urali, e ci restituisce alla grande storia dell' Europa dei popoli e delle cattedrali. Il contrario di ciò che Francesco ha fatto in questi anni.  Infatti la Dichiarazione fa una vigorosa difesa (finalmente) dei cristiani perseguitati e della libertà religiosa a tutte le latitudini, con l' appello a una coraggiosa testimonianza cristiana nella vita pubblica; attacca la tecnocrazia nichilista dell' Europa occidentale che ha rinnegato le sue radici cristiane e che emargina fino al disprezzo i cristiani; infine fa una difesa tenace della famiglia naturale e della vita dal suo concepimento fino alla sua fine naturale.  Tuttavia, subito dopo la pubblicazione solenne e in mondovisione di questo documento, papa Bergoglio ha cercato di "rimangiarsi" la firma minimizzandone il significato. Riducendo tutto a una photo opportunity. Come si spiega questa repentina e incredibile marcia indietro? Evidentemente l' Impero che ha "dimissionato" Benedetto XVI e che sostiene il pontificato di Francesco non gli consente di ribaltare la collocazione geopolitica della Chiesa. Per questo Francesco (che pure sulla Siria nel 2013 si permise una coraggiosa indipendenza) è subito tornato nei confini assegnati. Gli è stato facile anche per la leggerezza con cui abitualmente dice, disdice e si contraddice, a seconda degli interlocutori. Il suo magistero è spesso cangiante come la veste di Saruman.  Probabilmente ora anche al Patriarcato di Mosca si chiederanno quanti Francesco sono in circolazione. Noi ce lo chiediamo da tre anni. Qualunque barca condotta così affonda, infatti la confusione nella Chiesa regna sovrana. Forse per questo il Papa chiede insistentemente preghiere. Purtroppo però lui ha molti adulatori, cortigiani, lustrascarpe e tifosi che lo esaltano, ma ben pochi pregano per lui e per la barca di Pietro che rischia di colare a picco fra gli applausi e le risa del mondo.  Io invece prego per lui. Nel mio libro La profezia finale, ho concluso così la lettera aperta a Franceso dove lo esortavo a combattere virilmente con noi la «santa battaglia» contro la notte, contro il Mysterium iniquitatis ormai dilagante: «Io vivo anche una mia guerra personale, durissima, che combatto con la mia famiglia contro il male e che da anni ci fa stare sul Calvario (...). Le assicuro che nell' offerta di questo martirio - insieme a tutta la Chiesa e all' umanità - c' è anche lei, con papa Benedetto XVI. La nostra preghiera è a Dio, perché restituisca e conservi sempre alla Chiesa e al mondo la luce del Vicario di Cristo, specialmente nelle tenebre dell' ora presente. Caro papa Francesco, sia uno dei nostri veri pastori sulla via di Cristo, con papa Benedetto che la sostiene con la preghiera e il consiglio: aiuti anche lei la Chiesa, oggi smarrita e confusa, a ritrovare la via del suo Salvatore e così riaccenderà quella luce che permetterà all' umanità di non perdersi in un abisso di violenza. Tutti i santi del Cielo pregano per questo».  Nelle pagine precedenti del libro non ho lesinato (dolorose e amare) critiche a questi tre anni di Francesco, e l' ho esortato a difendere la Chiesa e la fede cattolica anziché farsi "usare" ed esaltare dai nemici di essa. L' ho implorato di non umiliare più la Chiesa, di non proclamare la resa, solidarizzando con gli avversari, ma invece di opporsi al dominio del «nuovo potere» che - come diceva Pasolini - è «completamente irreligioso, totalitario, violento, falsamente tollerante, anzi, più repressivo che mai, corruttore, degradante». Io credo che nel profondo papa Francesco ne sia convintissimo. E, dibattendosi fra gli Imperi, cerchi una strada che scaltramente tolga la Chiesa dall' angolo: ma si può essere più scaltri di Dio? Può esservi una via più scaltra di quella di Cristo che è la testimonianza alla verità fino alla croce? Può esserci un annuncio del Vangelo che non sia anche un giudizio sul mondo e sulle tenebre dei poteri mondani? «Se non c' è lotta non c' è cristianesimo», dice Benedetto XVI. È stolto mettersi contro il Potere? San Paolo ci avverte che è attraverso la stoltezza della predicazione della verità che Dio salva il mondo «perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e la debolezza di Dio è più forte degli uomini» (1Co 1, 25). Queste sono le cose che ho scritto nel mio libro e su queste mi ha risposto il Papa. Quando ho aperto la busta ho visto che era tutto di suo pugno. So capire il senso di certi "dettagli": i Pontefici comunicano attraverso la Segreteria di Stato (ho ricevuto in passato altre missive papali di questo tipo). Invece questa lettera autografa scritta dal Papa stesso e inviata direttamente, senza passare per nessun ufficio vaticano, ha un significato preciso: vuole essere un segno di familiarità, un gesto paterno, di affetto e di comunione. Pur sapendo quanto papa Bergoglio ami uscire fuori dai formalismi, non me lo aspettavo. Gli avevo fatto inviare dalla Rizzoli il mio libro perché il sottotitolo recita: «Lettera a papa Francesco sulla Chiesa in tempo di guerra». Su quel volume avevo scritto una dedica in cui spiegavo al Papa che il libro contiene ciò che in coscienza mi sento in dovere di dirgli. Ma dopo averlo fatto inviare non ci ho pensato più.  Sono dunque rimasto molto sorpreso vedendo la lettera e leggendo le parole - davvero non formali - di papa Francesco: «Vaticano 7 febbraio 2016 Sig. Antonio Socci Caro fratello: Ho ricevuto il suo libro e la lettera che lo accompagnava. Grazie tante per questo gesto. Il Signore la ricompensi. Ho cominciato a leggerlo e sono sicuro che tante delle cose riportate mi faranno molto bene. In realtà, anche le critiche ci aiutano a camminare sulla retta via del Signore. La ringrazio davvero tanto per le sue preghiere e quelle della sua famiglia. Le prometto che pregherò per tutti voi chiedendo al Signore di benedirvi e alla Madonna di custodirvi. Suo fratello e servitore nel Signore, Francesco». Sono parole che non lasciano indifferenti. Ci sono cose di questo Papa che mi commuovono profondamente (l' ho scritto nel libro). Mi entusiasma la sua libertà evangelica, la sua semplicità, il suo essere fuori dagli schemi clericali. È emozionante quando parla dello sguardo di Gesù o, come nei giorni scorsi a Guadalupe, degli occhi materni di Maria. E quando ricorda che il nostro Salvatore non vuole perdere nessuno e si prende ciascuno di noi sulle spalle.  Ma infine un pontificato è anzitutto il suo magistero e il suo governo della Chiesa e di fronte allo smarrimento e alla confusione che in questi tre anni hanno investito il popolo cristiano ho dovuto e voluto dire la verità, a costo del suicidio professionale e morale. Ho buttato alle ortiche quello che il mondo definisce «prestigio», costruito in decenni di lavoro, per diventare un reietto nel mondo cattolico, che è la mia casa. Diventato di colpo un "appestato", in questi due anni ho fatto indigestione di insulti. Quelli più frequenti sono stati i seguenti: «Sei un indemoniato» e «sei impazzito». Altri poi hanno invocato l' arrivo di un esorcista, del Tso o perfino una sentenza di scomunica, hanno insinuato addirittura che fossi stato accalappiato da qualche setta, da qualche bislacco guru o da qualche oscuro "potere" e hanno sentenziato che sarei ormai fuori dalla Chiesa.  Mi hanno messo al bando dai loro media ed è stato messo all' Indice un mio volume in certe librerie cattoliche dove, magari, vendono Augias e Mancuso. C' è perfino chi ha fatto disgustose considerazioni sulle traversie vissute dalla mia famiglia.  Oggi però le parole che Francesco mi ha scritto fanno giustizia di mesi e mesi di insulti. Sono anzitutto, per ciascuno di noi, un esempio di umiltà e di paternità. Ma la legittimazione delle «critiche al papa», contenuta nella lettera, mi pare anche che insegni a essere cristiani virili e non pavidi o opportunisti. Si deve parlare con parresia e non con calcolata ipocrisia.  Nel mio libro avevo riportato le parole del vescovo spagnolo Melchor Cano (1509-1560), grande teologo del Concilio di Trento: «Pietro non ha bisogno delle nostre bugie o della nostra adulazione. Coloro che difendono ciecamente e indiscriminatamente ogni decisione del Sommo Pontefice sono quelli che più minano l' autorità della Santa Sede: distruggono, invece di rafforzare le sue fondamenta». Così motivavo la mia franchezza, come un piccolo aiuto al vescovo di Roma. È molto bello che ora il Papa risponda al mio libro confermando tutto: «In realtà, anche le critiche ci aiutano a camminare sulla retta via del Signore». Francesco del resto sa bene che, per lui, il pericolo non viene dalla franchezza dei figli di Dio, ma dalla corte: un giorno arrivò a dire che «la corte è la lebbra del papato».  È vero del resto che nella Curia romana e nelle altre curie, sotto il suo pontificato, domina un clima di vero terrore, un' oppressiva aria inquisitoriale, mai vista prima. Ed è sua responsabilità. Il modo come ha condotto le vicende ecclesiali in questi anni e anche l' ultimo Sinodo purtroppo dimostrano che insieme al Francesco paterno e comprensivo ce n' è uno che usa il potere in modo molto duro. Talora anche per imporre alla Chiesa dottrine eterodosse. È lui che usa il pugno di ferro contro famiglie religiose o ecclesiastici di grande fede e ortodossia e poi elogia e promuove chi va dietro ai venti delle ideologie mondane. Continuo a sperare vivamente che egli metta fine a questo clima ed esorti tutti a stare nella Chiesa con la libertà e la dignità dei figli di Dio, come lo stesso Concilio insegna (senza temere epurazioni, vendette e umiliazioni). Ma spero soprattutto che sia fedele alla missione di Pietro, cioè che difenda la fede cattolica e non la svenda e nemmeno la stravolga: questo non gli è lecito. Non può farlo. «Perché anche il papa», diceva Joseph Ratzinger, «non può fare quello che vuole. Non è un monarca assoluto, come un tempo lo furono alcuni re. È tutto il contrario, Egli è il garante dell' ubbidienza. Egli è il garante che noi non siamo dell' opinione sua o di chicchessia, ma che professiamo la fede di sempre che egli, opportune importune, difende contro le opinioni del momento». Antonio Socci

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