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Papa Francesco elogia pure le coop rosse

Matteo Legnani
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Giovanni Paolo II arrivò a Bologna il 18 aprile del 1982. Fu un evento, perché l' ultimo pontefice a entrare in città, prima di lui, era stato il papa re, Pio IX, 125 anni prima. Ciò nonostante Karol Wojtyla scelse la strada più lunga e difficile: il suo viaggio pastorale fu preceduto da una reprimenda ai vescovi dell' Emilia-Romagna e al loro popolo, in cui aveva denunciato il connubio tra comunismo e soldi. In quella regione, aveva detto, c' era un clima politico e culturale «imposto da dottrine e prassi aperte ad una concezione materialistica e da una mentalità edonistica, favorita dall' accresciuto benessere economico». Alle autorità e ai fedeli che lo accolsero a porta Saragozza ribadì che «ignorare od ostacolare l' incremento dei valori religiosi negli individui e nelle famiglie non è rendere un servizio alla dignità dell' intera persona umana» e invocò il «risveglio della coscienza» dei bolognesi. Il papa polacco non pensava certo che Bologna e l' Emilia fossero il covo dell' Anticristo, ma sapeva che per essere credibili quando si parla bisogna avere il coraggio di guardarsi in faccia e mettere in chiaro le differenze, senza ipocrisie: solo dopo si può trovare il modo per camminare insieme. Idee diverse - Altri tempi, altro papa. Ieri, a Bologna, Francesco ha scelto la via più facile, opposta a quella del suo predecessore. Ha indicato quello emiliano come modello per il nuovo cristianesimo sociale: «Solo il dialogo può permettere di trovare risposte efficaci e innovative per tutti, anche sulla qualità del lavoro, in particolare l' indispensabile welfare. È quello che alcuni chiamano "sistema Emilia", cercate di portarlo avanti». E ha elogiato il mondo delle coop: «Nel vostro territorio da lungo tempo si è sviluppata l' esperienza cooperativa, che nasce dal valore fondamentale della solidarietà». Amnesie - Non una parola per il cardinale Carlo Caffarra, che sino al 2015, nei dodici anni precedenti, era stato arcivescovo metropolita di Bologna, messo lì da Wojtyla, come il suo predecessore Giacomo Biffi, nella convinzione che in una città con una simile cultura per "risvegliare le coscienze" servisse una figura scomoda, non omologabile all' ambiente bolognese. Caffarra, che fu teologo di Giovanni Paolo II, è morto il 6 settembre e uno dei suoi ultimi atti era stato chiedere al papa chiarezza sulla esortazione apostolica Amoris laetitia, che sembra consentire, scriveva Caffarra a Francesco, «non solo l' accesso alla Santa Eucarestia di coloro che oggettivamente e pubblicamente vivono in una situazione di peccato grave, ed intendono rimanervi, ma anche una concezione della coscienza morale contraria alla Tradizione della Chiesa». "Dubia" che ancora rimangono, perché Francesco non ha mai risposto. Gongola Romano Prodi, che del modello emiliano è uno dei prodotti d' esportazione più riusciti: «Il papa piace ai bolognesi. Ci ha mandato un arcivescovo meraviglioso», che sarebbe il progressista Matteo Maria Zuppi, proveniente della Comunità di Sant' Egidio, chiamato due anni fa al posto di Caffarra. Così, chiosa l' ex leader dell' Ulivo, oggi in città «c' è una forte e interessante cooperazione tra gli imprenditori, il Comune e la Curia». Prima a Bologna c' erano il partito e le coop, adesso ci sono il partito, le coop e la Chiesa. Le vere cooperative - Chissà se Francesco parla per sentito dire o se conosce davvero l' accogliente e solidale modello emiliano che cita ad esempio. Chissà se ha letto, solo negli ultimi giorni, degli stracci che volano a Bologna tra i vertici della Lega delle cooperative e quelli del Pd locale. I primi vogliono dare la scalata al partito, i secondi alzano le barricate per difendere le loro posizioni, gli uomini delle coop invitano i compagni a vergognarsi. Un bel verminaio dove ci si scanna per il controllo dell' economia locale e le poltrone, dal quale la Chiesa farebbe bene a tenersi lontana: altro che esempio da imitare.

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