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Vaticano, Antonio Socci: i cardinali contro Papa Francesco sullo ius soli

Andrea Tempestini
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Era il febbraio 2016. Papa Bergoglio si trovava sul volo di ritorno dal Messico e - nella solita conferenza stampa aerea - gli fu chiesto cosa pensava della legge sulle unioni civili che era in discussione nel nostro Parlamento. Rispose: «Io non so come stanno le cose nel Parlamento: il Papa non si immischia nella politica italiana». In quella stessa circostanza però Bergoglio s'immischiò nella politica americana attaccando Trump per aver proposto di fare il muro contro l'immigrazione al confine col Messico. Del resto se si parla di migranti Bergoglio s'immischia pure nella politica italiana. A parole Bergoglio, quel 18 febbraio 2016, affermò: «Il Papa non può mettersi nella politica concreta, interna di un Paese: questo non è il ruolo del Papa». Però in pratica egli interviene pesantemente e pretende che l'Italia faccia la legge sullo ius soli. Ecco qualche titolo di giornale degli ultimi mesi. «Messaggio di papa Francesco: sì allo ius soli e allo ius culturae» (Repubblica, 21 agosto); «Migranti, Papa Francesco: “la nazionalità va riconosciuta alla nascita”» (Rai news 21 agosto); «Papa Francesco: “Immigrati, i politici che fomentano la paura seminano violenza razzista”» (Libero, 24 novembre). «Papa Francesco torna a chiedere lo ius soli, serve una legge più attinente al contesto sociale» (Il Messaggero, 27 settembre). Egli bombarda da mesi per imporre all'Italia quella legge sullo Ius soli che si guarda bene dall'introdurre nello Stato vaticano (di cui lui è sovrano assoluto). Per questo scopo mobilita pure i vescovi: «Cei, Galantino: “Accelerare sullo ius soli”» (Il Giornale, 28 settembre). Sottotitolo: «Prosegue la pressione della Cei per lo ius soli. Questa volta a chiedere l'approvazione è il segretario della Conferenza episcopale italiana, monsignor Nunzio Galantino». Addirittura nel febbraio 2017 Bergoglio era stato il primo firmatario della petizione del Sermig per chiedere al Parlamento italiano di approvare lo Ius Soli (vedi Avvenire, 26 febbraio 2017). INGERENZE Credo sia il primo caso di una petizione al Parlamento italiano firmata da un papa che - oltre ad essere un Capo di stato straniero - non è nemmeno mai stato cittadino italiano. Un'ingerenza che potrebbe anche creare problemi con lo Stato italiano in base alle norme concordatarie. Del resto sta creando anche grossi dissensi dentro la Chiesa, perché è del tutto irrituale intervenire così su una questione come le norme sulla cittadinanza che è complessa e opinabile. L'Italia già oggi, con l'attuale legislazione, è il Paese che, in Europa, concede più cittadinanze: 202 mila nel 2016. L'Istat dice che gli extracomunitari che ogni anno diventano cittadini italiani sono sempre di più e sono addirittura quadruplicati in cinque anni (nel 2011 erano meno di 50 mila, oggi 200 mila). È dunque perfettamente normale (e legittimo) che la maggior parte degli italiani - e alcuni partiti - siano contrari a un ulteriore allargamento delle maglie e non si vede perché il Papa debba attaccarli e debba fare una crociata politica su un questione simile, che peraltro non riguarda né lui, né la Chiesa, né l'insegnamento morale della Chiesa. I RUOLI Anzi, l'opporsi allo ius soli s'ispira a quella saggia “prudenza” che la stessa dottrina cattolica (diversamente da quella bergogliana) sempre consiglia sul tema delle migrazioni di massa. Ecco perché in queste ore un cardinale importante come l'americano Raymond Leo Burke - interpellato sulla fissazione bergogliana per lo ius soli italiano - ha risposto: «Il ruolo della Chiesa non è promuovere una legge che tratta giudizi prudenziali sui quali uomini giusti possono avere diversi pareri (…). Per me è sbagliato che la Chiesa eserciti il ruolo di un partito in appoggio a una legge specifica in una questione che deve essere tenuta dentro il confine di un giudizio prudenziale». Nel caso di leggi che toccano questioni fondamentali come il diritto alla vita, il matrimonio e la famiglia - dice Burke - «la Chiesa deve esporre i suoi principi morali», ma «sullo ius soli credo si debba essere prudenti a causa delle ripercussioni del provvedimento sull'identità di questo Paese». Una preoccupazione, questa, che è consigliata anche dai recentissimi dati sull'espansione dell'islam nei paesi europei forniti dal Pew Research Center di Washington, un istituto di ricerca demoscopica fra i più autorevoli del mondo. Secondo l'istituto alla fine del 2016 c'erano, nei trenta paesi europei analizzati, circa venticinque milioni e 770 mila musulmani, ovvero il 4,9 per cento della popolazione complessiva. Lo studio prospetta poi tre scenari: il blocco totale e immediato dell'ondata migratoria; la sua prosecuzione, ma in modo ordinato e regolato; infine la sua prosecuzione senza regole com'è stato finora. Ebbene, l'istituto prevede che l'attuale percentuale di musulmani è destinata ad aumentare in modo significativo anche nel caso in cui oggi venisse completamente bloccato il flusso migratorio. NUMERI Nel secondo caso - quello di mezzo - avremo un'Europa dove, nel 2050, i musulmani saranno 57,9 milioni (l'11,2 per cento della popolazione) e in Italia avrebbero - per varie ragioni - un'incidenza maggiore passando dagli attuali 2 milioni e 870 mila a 7 milioni (ovvero dal 4,8 per cento al 12,4 per cento). Sarà per ora una preoccupazione eccessiva, ma - con questo andazzo - c'è chi ricorda la sorte dei cristiani nei paesi musulmani. Monsignor Amel Nona, l'arcivescovo caldeo di Mosul tempo fa ci ammonì: «Le nostre sofferenze di oggi sono il preludio di quelle che subirete anche voi europei e cristiani occidentali nel prossimo futuro». Ecco perché il card. Burke ha invitato alla prudenza. Come in precedenza aveva fatto l'arcivescovo emerito di Ferrara, mons. Luigi Negri secondo cui, la cittadinanza «non può diventare oggetto di una concessione automatica o meccanica che non implichi la valutazione dei fattori che sono in gioco, di tutti i fattori e a tutti i livelli». In materie così complesse e opinabili, ha detto mons. Negri, la Chiesa «non può pretendere di arrivare a formulare in maniera autoritativa soluzioni perché non le competono». Sul tema dell'emigrazione, ultimamente, è intervenuto - in controtendenza rispetto a Bergoglio - anche il card. Robert Sarah, una voce significativa anche perché viene da un paese povero dell'Africa, cioè dalla terra dove si generano i flussi migratori. LA MISSIONE Il prelato, durante un recente viaggio in Polonia, all'unisono con i vescovi africani, ha ricordato il principio enunciato da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI secondo cui il primo diritto è quello di «non emigrare», cioè «il diritto di rimanere nella propria patria». Un principio di buon senso che oggi sembra dimenticato in Vaticano. Naturalmente il card. Sarah ha affermato che «ogni immigrato è un essere umano e va rispettato», però - per governare la situazione - occorre discernimento e Sarah ha sottolineato «il diritto che ogni nazione ha di fare una distinzione fra un rifugiato politico e religioso e i migranti economici che vogliono cambiare il loro luogo di residenza», magari senza accettare la cultura del Paese di arrivo. Poi il cardinale ha attaccato l'ideologia oggi dominante che tende «a erodere i confini naturali delle patrie e le culture, e conduce a un mondo post-nazionale e unidimensionale dove l'unica cosa che conta sono il consumo e la produzione. Questa direzione di sviluppo è inaccettabile». Infine Sarah ha elogiato la Polonia, proprio la Polonia che la Ue critica per la chiusura all'emigrazione islamica, proprio la Polonia malvista dal Vaticano bergogliano dove milioni di persone si ritrovano ai confini per recitare il rosario nella memoria del centenario di Fatima e di Lepanto: «Oggi» ha detto il card. Sarah «la Polonia mostra la strada, quando nega un'obbedienza automatica alle richieste che scaturiscono dall'esterno, dalla globalizzazione liberale… La Polonia deve essere la sentinella dell'Europa». di Antonio Socci www.antoniosocci.com

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