Filippo Facci, il rischio estinzione della razza bianca è reale: ecco i numeri che lo dimostrano
La frase «la razza bianca è a rischio» è sbagliata solo tecnicamente, nel senso che il concetto di «razza» non ha più un fondamento scientifico e si parla soltanto di differenze tra etnie umane e di diverse classificazioni antropologiche dell'Homo sapiens sapiens. Dopodiché Attilio Fontana, leghista e candidato governatore della Lombardia, può scegliere se ribadire, correggere o rettificare la frase che ha generato il vespaio: «Dobbiamo decidere se la nostra etnia, la nostra razza bianca, la nostra società devono continuare a esistere o devono essere cancellate». Può scegliere per ragioni politiche o d'altro tipo, a noi interessa relativamente, ma su una cosa non c'è dubbio: sul merito ha ragione. Ha tecnicamente ragione, sia per l'Italia che per l'intera Europa. Leggi anche: L'antropologo: "Ecco la differenza tra noi e gli islamici" Si può discutere di tempi e proporzioni, ma che sia in atto una sostituzione lo dicono i numeri. Cominciamo dall'Italia. Dal 2008 al 2016 mezzo milione di italiani si sono trasferiti all'estero per lavoro, mentre molti più stranieri immigrati (regolari e non) li hanno frattanto sostituiti qui in Italia. Il primo dato è stato reso noto l'anno scorso dal rapporto “Il lavoro dove c'è” presentato a Roma dall'Osservatorio statistico dei Consulenti del lavoro: gli italiani si sono spostati soprattutto in Germania (20mila nel solo 2015) e Gran Bretagna (19mila) ma anche Francia (oltre 12mila). A complicare il calcolo c'è che non sono stati solo gli italiani ad abbandonare la penisola: tra il 2008 e il 2016 anche 300mila cittadini dell'Est Europa sono tornati in patria, e questo perché trasferirsi da noi «non era più giustificato dai redditi da lavoro percepiti». C'è di che pensare. Ma passiamo al secondo dato, quello sul numero di immigrati presenti in Italia dal 2008, dato peraltro di non facile computazione: Istat, Eurostat, Ministero dell'Interno, Ismu e molte altre fonti hanno il loro daffare nel distinguere tra migranti regolari o irregolari, clandestini, rifugiati, richiedenti asilo, profughi, apolidi, sfollati o altre categorie. Però c'è una certezza: costoro sono molti di più dei 509mila italiani che hanno lasciato il Paese. La sostituzione è tutta qui, anche se non ha equivalenza per status lavorativo: le “occupazioni” degli italiani che vanno all'estero e quelle degli stranieri che vengono in Italia sono decisamente differenti tra loro. In Italia, infatti, è in atto non solo una sostituzione, ma anche una “proletarizzazione” fondata sui famosi mestieri che gli italiani non vogliono più fare, sia legali sia illegali. Insomma, gli occupati stranieri continuano a crescere e quelli italiani invece decrescono: +22.000 i primi rispetto al 2012, -501.000 i secondi nello stesso periodo. Un altro dato interessante sarebbe quello della scuola: gli alunni con cittadinanza non italiana sono in crescita e ora sono circa 9 per cento della totalità gli studenti. I MORTI SUPERANO I VIVI Se i dati del nostro Paese non bastassero (o risultassero troppo intossicati dalla campagna elettorale) si può tornare ai dati del 2015 secondo i quali, attenzione, i morti in Europa hanno superato i vivi: ed era la prima volta che succedeva da quando l'Eurostat nel 1961 si incaricò di contare gli uni e gli altri. Per farla breve: nel 2015 sono nate 5,1 milioni di persone e ne sono morte 5,2 milioni, eppure la popolazione europea è complessivamente aumentata, cioè è passata da 508,3 milioni a 510,1 milioni. Che cosa non quadra? Ovvio, gli immigrati. Sono aumentati (circa 2 milioni in un anno) mentre gli europei residenti lentamente diminuivano, o, per dirla male, alla Attilio Fontana, ci si rese conto per la prima volta che era in atto una sostituzione. Lenta finché volete, ma c'è. Forniamo qualche altro numero, così, anche solo per curiosità: l'Italia è notoriamente il Paese europeo in cui nascono meno bambini (tasso di natalità dell'8 per mille) mentre nel Nordeuropa ci danno dentro di più: Irlanda 14 per mille, Francia e Gran Bretagna 12, Portogallo 8,3, Grecia 8,5. In Italia l'anno scorso sono morte circa 650mila persone, ma il nostro tasso di mortalità (10,7) non è lontano dalla media europea che è di 10,3. Poi ci sono Paesi come la Bulgaria (15,3) e la Lettonia e la Lituania (14,4) dove si schiatta molto di più. La Germania ha 82 milioni di persone, la Francia 66, la Gran Bretagna 65, l'Italia 60. Non ci fosse la sostituzione di cui andiamo parlando, il caso europeo sarebbe un esempio quasi perfetto di controllo delle nascite: più morti che vivi sarebbe una buona notizia in un Pianeta brulicante e bisognoso di sempre nuove risorse. E gli immigrati, come detto, dovevano impiegarsi nei famosi lavori che gli europei non vogliono più fare: indirettamente ci avrebbero anche pagato le pensioni, quasi fossero una sorta di popolo di ricambio. IL PREZZO DELL'ACCOGLIENZA La realtà si è rivelata diversa. Molti immigrati (non stiamo enumerando quelli irregolari) mandano i soldi rigorosamente nel Paese d'origine e li sottraggono al ricircolo economico, programmando peraltro di andare a svernare nella terra dei loro natali quando l'età della pensione l'avranno raggiunta loro; alcuni - soprattutto orientali - tengono in piedi autentiche economie parallele che sono impermeabili o quasi alla nazione che li ospita, e soprattutto al fisco. Questo per quanto riguarda gli immigrati più fisiologici e maggiormente integrati, e lasciando da parte l'ampia parte che lavora in nero per una ragione o per un'altra. Poi c'è un'altra copiosa parte di immigrati (certo non solo profughi o rifugiati) che produce poco o nulla e si candida a impossessarsi dello status che tanti europei non possono più avere: quello degli assistiti, dei mantenuti, epicentro di un neo-welfare che in tutta Europa deve fronteggiare i bisogni e le emergenze di ondate ingestibili di migranti. C'è infine una terza categoria di immigrati, purtroppo: quelli che si muovono da un Paese all'altro con l'intento specifico di ingrossare attività criminali (sappiamo quali: molti europei non vogliono più fare neanche quelle) oppure che finiscono per caderci dentro per forza di cose, grazie a quelle autentiche scuole di formazione che le carceri rappresentano: gli immigrati, come è noto, sono in crescita anche lì, e di conseguenza anche i loro costi di mantenimento. Ecco, i numeri e le spiegazioni che Eurostat dovrebbe fornire - non che sia facile - sono anche queste: che cosa fanno questi due milioni di immigrati neo europei, sino a che punto rappresentano una risorsa e quanto invece un “costo” economico e sociale non affrontabile all'infinito. Quanti, poi, sono in galera, quanti dovrebbero starci, e quanto, ancora, potrà durare l'autoctona e demodé “popolazione europea” propriamente detta. È una buona domanda, ma durante una campagna elettorale italiane è proibito porsela. di Filippo Facci